“È la montagna a comandare. Sempre. E servono attenzioni particolari, premure e impegno, spesso anche sacrifici e dedizione verso ‘i giganti di roccia’. Servono soprattutto uomini e donne che sappiano prendersene cura, che se ne occupino attivamente, provvedendo alle sue necessità. Perché la montagna non è matrigna, non è un mostro cattivo -anche se a volte potrebbe sembrarlo- ma parla una lingua tutta sua che va ascoltata e capita, ha tempi tutti suoi che vanno compresi e rispettati”. A due anni dal disastro della Marmolada “emerge tutto questo. Non più con il caos emotivo provocato dalla tragedia, ma con la giusta distanza per provare a riflettere. E -se possibile- cogliere almeno un insegnamento da quanto accaduto”. Lo mette in luce il presidente della Provincia di Belluno, Roberto Padrin, in occasione dell’anniversario della tragedia della Marmolada. Due anni dopo, rileggendo quei fatti, continua, “emerge che il cambiamento climatico non fa sconti. E non li fa a maggior ragione alla montagna, tanto imponente quanto fragile. Di conseguenza tocca all’uomo, con spirito darwinista, adattarsi per non soccombere, evolversi per non risultare schiacciato. Mettere in campo azioni per preservare oltre che se stesso anche la montagna e il suo ambiente. Un’evoluzione che proprio per questo deve far compenetrare e coesistere l’uomo nell’ecosistema montano, perché il microcosmo montagna -con i servizi di aria, acqua, paesaggio che offre anche al ‘resto del mondo’- non può prescindere dalla presenza, dal lavoro e dalle azioni dell’essere umano. Insomma, serve che la montagna sia abitata, perché sia viva e curata”. E questo passa attraverso “un equilibrio tra attività e tutela, tra economia e preservazione, tra uomo e natura”.
L’altro dato che emerge dalla tragedia del 3 luglio 2022, e dall’esempio del sistema dei soccorsi: un sistema “fatto di persone in cui ognuno ha il suo compito preciso, e sa svolgerlo con perizia e impegno, per l’incolumità propria e degli altri. Ecco, credo sia questo il messaggio più forte di tutti: ciascuno ha una mansione precisa; come scriveva il poeta latino Stazio, ‘homo homini deus est si suum officium sciat’, l’uomo può essere un dio per l’altro uomo, a patto che sappia fare il proprio dovere. Gli abitanti delle terre alte- scrive Padrin- sanno qual è il loro dovere, come sanno ascoltare e comprendere i tempi e la lingua della montagna: devono solo essere messi nelle condizioni di abitare e curare la montagna perché possa continuare a offrire i propri servizi ecosistemici”