Ecco su cosa si concentra l’impegno di chi governa sugli scranni romani.

La Lega precisa che la proposta di legge del senatore Manfredi Potenti è un’iniziativa del tutto personale. I vertici del partito, a partire dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, non condividono quanto riportato nel Ddl Potenti il cui testo non rispecchia in alcun modo la linea della Lega che ne ha già chiesto il ritiro immediato”.

Cosa prevedeva

L’obiettivo della proposta (nome: “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere”) era di vietare in qualsiasi atto o documento emanato da enti pubblici o da altri enti finanziati con fondi pubblici o comunque destinati alla pubblica utilità «il genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge». L’esempio che veniva fatto nel testo era l’uso di termini come “sindaca”, “avvocata” o “rettrice”.

Il testo vietava anche il «ricorso discrezionale al femminile sovraesteso o a qualsiasi sperimentazione linguistica. È ammesso l’uso della doppia forma o il maschile universale, da intendersi in senso neutro e senza alcuna connotazione sessista».

Accademia della Crusca

 “La lingua ha un solo nemico vero: l’autoritarismo linguistico, di qualunque segno”. Reagisce così Claudio Marazzini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca e professore emerito di storia della lingua italiana dell’Università del Piemonte Orientale, al disegno di legge presentato dal senatore leghista Manfredi Potenti (“Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere”) che chiede di vietare l’uso scritto, negli atti pubblici, di parole come ‘sindaca’, ‘questora’, avvocatessa’ e anche ‘rettrice’.  Provvedimento ritirato dal partito.

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