a cura di Raffaella Mari
Lasciare una telecamera accesa per spiare il partner è reato. Ma se a casa ci sei anche tu non lo è più. Si potrebbero sintetizzare così decenni di giurisprudenza della Cassazione sul tema della privacy tra conviventi o coniugi.
Anche tra persone che convivono, infatti, si può configurare il reato di “interferenze illecite nella vita privata”, punito dall’articolo 614 del codice penale con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Ma, più concretamente, quando spiare il partner è reato? È legale lasciare accesa la telecamera della videosorveglianza contro i ladri per verificare invece, a distanza, se è in atto un tradimento o se l’altro genitore sta manipolando i figli?
Si può lasciare un registratore a casa acceso?
Ascoltare con una cimice ciò che fa il proprio partner quando si è assenti è reato. I file non potranno quindi essere usati come prova in un eventuale giudizio (ad esempio quello di separazione).
Al contrario registrare di nascosto una conversazione è lecito.
Qual è la differenza tra le due ipotesi? Nella prima, colui che registra è assente. Nella seconda no: egli è parte della discussione e dunque può procurarsi le prove di ciò che sta sentendo. Il registratore diventa una sorta di “prolunga della memoria”: non c’è violazione della privacy se colui che viene registrato ha consapevolmente deciso di dire determinate cose in faccia all’altro conversante.
Si può lasciare una telecamera accesa in casa?
Quanto abbiamo detto per il registratore (ossia per l’audio) vale anche per le telecamere (ossia per i video). Dunque, è reato di interferenze nella vita privata usare la videosorveglianza installata contro i ladri o qualsiasi altro “apparecchio spia” per controllare cosa fa il partner quando è solo e magari per dimostrare che manipola il figlio minore: non importa se le immagini sono captate a fin di bene, per salvare il bambino o per procurarsi le prove da utilizzare in giudizio.
A maggior ragione commette reato l’uomo che lascia la telecamera accesa per vedere la compagna o la moglie nuda o seminuda in bagno o camera da letto, senza che questa voglia condividere alcun momento di intimità; mentre non commette l’interferenza illecita l’uomo che filma in casa propria i rapporti intimi con la convivente, senza il consenso dell’interessata.
Invece se si filmano di nascosti momenti di vita privata, così come eventuali litigi, non si commette reato perché colui che sta effettuando le registrazioni è presente. Lo stesso vale anche per i rapporti di coppia, a condizione come detto che l’autore della condotta compaia nei video o negli audio (Cass. sent. n. 12713 del 27/03/2024 e n. 4840 del 02/02/2024).
Quando scatta il reato di interferenze illecite nella vita privata
Con la sentenza n. 12713/24, la Cassazione chiarisce un punto fondamentale riguardante le violazioni della privacy all’interno dell’abitazione propria. Il fatto che sia il proprietario della casa a installare un dispositivo di registrazione segreto, come una microspia, non rende legittimo l’uso della stessa ai fini della registrazione di conversazioni altrui senza il loro consenso.
Il criterio che distingue un’azione lecita da un’interferenza illecita non è legato alla specificità del momento privato violato, ma piuttosto alla partecipazione o meno di chi registra al materiale audio o video acquisito. Pertanto, configura un reato, secondo l’articolo 615 bis del codice penale, l’azione di chi impianta una microspia nell’ambito domestico al fine di intercettare dialoghi di terze persone.
Il caso è quello di un uomo che aveva installato un dispositivo per raccogliere prove contro la partner in una disputa legale riguardante l’affidamento di un figlio. Nonostante le tensioni personali e le preoccupazioni dell’uomo per la sicurezza del figlio, tali motivazioni emotive, pur essendo intense, non giustificano legalmente l’interferenza illecita nella vita privata attraverso registrazioni clandestine. La legge riconosce come sufficiente per configurare un reato di questo tipo il dolo generico, ossia la volontà consapevole di acquisire in modo indebito informazioni private, che si traduce nell’atto di registrare audio o video senza il consenso delle parti coinvolte.
La sentenza 4840/2024 ha affrontato un caso simile. Un marito, sospettando che la moglie maltrattasse i figli, aveva deciso di installare autonomamente un sistema di ripresa senza il consenso della donna, pensando di documentare tali abusi. La legge, tuttavia, stabilisce chiaramente che in situazioni di sospetto abuso è imperativo rivolgersi all’autorità giudiziaria competente piuttosto che intraprendere azioni di sorveglianza privata.
In questo contesto, il tribunale ha ordinato il sequestro definitivo di tre mini-telecamere che l’uomo aveva occultato nei sensori del sistema d’allarme e nella centralina di registrazione. Queste erano state posizionate quando entrambi i coniugi vivevano ancora insieme nell’abitazione.
La sentenza ha ribadito che l’installazione delle telecamere da parte di un convivente non è legittima senza il consenso dell’altro, anche se chi installa le telecamere risiede nella stessa casa. Inoltre, il tribunale ha chiarito che le registrazioni segrete non possono essere utilizzate come prova a meno che chi effettua la registrazione non partecipi attivamente alla conversazione o all’evento registrato.
Fonte La Legge per tutti