Il carabiniere che era alla guida dell’ultima macchina inseguitrice, nel caso della morte di Ramy Elgaml, ha avuto un comportamento corretto, ha frenato quando doveva frenare e l’urto tra l’auto e lo scooter non si è verificato alla fine dell’inseguimento, ma in precedenza ed è stato laterale.

E’ questo in sintesi il contenuto della consulenza cinematica disposta dalla procura di Milano e depositata. Consulenza che in sostanza attribuirebbe la responsabilità dell’incidente all’amico di Ramy che guidava lo scooter, Fares Bouzidi.

La consulenza cinematica, firmata dall’ingegnere Domenico Romaniello, esclude dunque totalmente l’ipotesi di uno speronamento volontario e attribuisce la responsabilità dell’incidente a Fares, indagato per omicidio stradale insieme al carabiniere che guidava, la cui condotta però viene ritenuta corretta dal consulente.

In sostanza, lo scooter guidato da Fares avrebbe perso aderenza tra viale Ripamonti e via Quaranta nel tentativo di svoltare a sinistra e la macchina dei carabinieri, molto vicina alla moto, avrebbe comunque frenato. Tutti e due i mezzi, poi, sono andati a schiantarsi più o meno vicino a un palo di un semaforo. Ramy è morto proprio perché finito contro quel palo.

La difesa di Fares si è detta già pronta a contrastare in ogni modo gli esiti di questa consulenza, coi propri esperti, così come faranno i legali della famiglia di Ramy.

“E’ possibile sostenere che le cause del grave sinistro mortale vadano ascritte al comportamento del conducente del motoveicolo Yamaha, Bouzidi Fares, per la sua condotta sconsiderata e pericolosa”. Lo scrive il consulente della Procura di Milano nel caso della morte di Ramy Elgaml. Fares ha violato più norme del codice della strada.

“Opponendosi all’Alt dei Carabinieri, dava avvio ad un inseguimento anomalo e tesissimo, ad elevatissima velocità lungo la viabilità urbana cittadina, con una guida spregiudicata ed estremamente pericolosa”, “sprezzante del pericolo” e si è “assunto il rischio delle conseguenze” per Ramy.

Fares, si legge nella relazione tecnica di 164 pagine dell’ingegnere Domenico Romaniello, e in particolare nelle valutazioni conclusive, “opponendosi all’Alt dei Carabinieri, dava avvio ad un inseguimento anomalo e tesissimo, ad elevatissima velocità lungo la viabilità urbana cittadina, con una guida spregiudicata ed estremamente pericolosa, transitando con semafori rossi, a pochi centimetri da veicoli in marcia regolare con rischio di collisioni, affrontando di notte, in contromano, curve alla cieca”. E con il “suo comportamento sprezzante del pericolo, ha determinato l’inseguimento e le sue modalità e si è assunto il rischio delle conseguenze, per sé e per il trasportato”.

Il carabiniere che guidava l’ultima macchina inseguitrice “si trovava dietro e a destra del motoveicolo in fuga al momento in cui si verificava la deviazione improvvisa ed imprevedibile della traiettoria da parte del motociclista. La pressoché impossibilità di poter prevedere una tale manovra – si legge ancora – ha fatto sì che lo stesso conducente si rendesse conto di ciò unicamente poche frazioni di secondo precedenti l’urto con lo stesso, tempo nel quale è intervenuta la reazione alla situazione di emergenza della intensa azione frenante, ‘costretta’ dalla valutazione, corretta, di non poter sterzare in alcuna direzione”.

“A tale proposito – scrive il consulente – in relazione al tema della evitabilità, è stato esplicitato nella presente (relazione) che se la distanza tenuta tra i due mezzi, il veicolo inseguitore e quello inseguito, fosse stata maggiore (almeno dello spazio psicotecnico), l’evento avrebbe potuto avere una differente evoluzione; ma il caso in esame, come evidenziato, non può essere ricondotto ad un caso di normale incidente stradale, bensì rientra nel contesto completamente differente di un’operazione di pubblica sicurezza”.

Il carabiniere che guidava l’auto che inseguiva lo scooter con in sella Ramy Elgaml, guidato dall’amico Fares Bouzidi, “in rapporto alle velocità di marcia reciproche dei due mezzi” e “all’improvvisa deviazione e ‘taglio'” della moto “verso destra, ha correttamente valutato di non poter sterzare né a sinistra (in quanto avrebbe certamente investito il motoveicolo con i due a bordo), né sterzare a destra”, in quanto “avrebbe corso il concreto rischio di investire il pedone”, ossia il teste oculare, “presente sul marciapiede”, ma di “poter soltanto frenare il più energicamente possibile per cercare di arrestare il proprio veicolo nello spazio a disposizione”.

Lo scrive il consulente della Procura di Milano. Il “pedone” è il testimone che era all’incrocio tra viale Ripamonti e via Quaranta e al quale, poi, due carabinieri avrebbero detto di cancellare un video che aveva girato. Militari che sono indagati in un filone dell’inchiesta per favoreggiamento e depistaggio.

“Dall’avvistamento – scrive ancora il consulente – dell’improvviso pericolo”, ovvero lo scooter che deviava, “alla successiva fase di reazione, fino all’urto con il motociclo”, prima dello schianto contro il palo del semaforo, “è intercorso un tempo di circa 0,6 secondi, tempo quindi del tutto insufficiente per porre in atto alcuna manovra” da parte del carabiniere che guidava.

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