Si fa presto a dire impastatrice. Ce ne sono alcune che sono pezzi di storia, che profumano non solo di pane, ma di casa, di casa dei nonni, di tradizioni che sanno di buono e di antico. E quelle che riescono a resistere al passare degli anni sono davvero rare.
Una di queste è nata proprio dalle nostre parti, nell’Alto Vicentino. Per la precisione a Marano Vicentino, all’inizio del secolo scorso, grazie all’inventiva, e alla tenacia, di un signore chiamato Pietro Berto, fondatore dell’omonima ditta Officine Meccaniche Pietro Berto SpA. Ebbene, oggi l’azienda ha presentato formale richiesta al Comune di Marano affinché alla storica impastatrice “La Vittoria” venga riconosciuta la denominazione comunale De.Co., con la relativa iscrizione all’Albo Comunale nella sezione “del bello”.
E bella era davvero l’impastatrice quando fece la sua prima comparsa pubblica, nel 1925, alla fiera -esposizione di Fiume (nella foto a destra l’originale del documento di partecipazione). Ma è bene fare un passo indietro per rileggere la storia di Pietro Berto e di quella folle idea che ebbe nei primi anni del ‘900. Così scrive la stessa azienda: “Prima dell’avvento delle macchine impastatrici, per impastare la pasta da pane e pasticceria, i sistemi erano sostanzialmente due. Il primo era un sistema totalmente manuale: per ottenere un buon pane impastando a mano occorrevano pazienza e tempo. L’unico attrezzo che serviva era una larga ciotola dove mettere nell’ordine: acqua, malto (o zucchero o miele), lievito di birra, farina (poca alla volta) e sale marino fino (sciolto in acqua e aggiunto dopo 10 minuti dall’inizio dell’impasto). S’iniziava mescolando un po’ di farina nell’acqua con una mano. A quel punto si aggiungeva il resto della farina e si proseguiva finché l’acqua non era completamente assorbita. Si rovesciava allora l’impasto su una spianatoia e si proseguiva la lavorazione per circa 20/30 minuti fino a quando l’impasto diventava elastico e non si appiccicava più alle mani. Il secondo sistema, pur sfruttando esclusivamente la forza delle mani, si avvaleva di strumenti in legno di vario tipo che, attraverso il principio della leva, permettevano di imprimere una forza superiore a parità di sforzo umano. Per il resto, il ciclo di lavoro era uguale al sistema manuale descritto in precedenza. L’unico vantaggio di questo secondo sistema consisteva nel permettere la lavorazione contemporanea di una quantità superiore di pasta”.
Ma il progresso non si può fermare. E con l’arrivo dei motori, a scoppio prima, elettrici poi, la lavorazione manuale lasciò il passo alle più comode macchine impastatrici. O almeno, ai primi prototipi.
“Fu allora, all’inizio del XX secolo, che Pietro Berto sviluppò e realizzò la prima macchina impastatrice per pane e pasticceria – scrive ancora nella sua presentazione la Pietro Berto SpA, regalando un compendio d’inventiva e di meccanica d’epoca – tenendo invariato il naturale ciclo di impasto, ma sostituendo l’azione delle mani con un utensile azionato da un motore. L’idea primordiale fu quella di realizzare una macchina impastatrice che potesse impastare circa 30 Kg di pasta per volta, utilizzando la combinazione del moto circolare di una ciotola intorno al proprio asse e di un utensile impastatore, anch’esso rotante, in grado di simulare l’azione delle mani all’interno della ciotola stessa. Serviva quindi una struttura in grado di accogliere questi due sistemi meccanici e al tempo stesso di ricevere il moto da un motore esterno. Berto attrezzò una fonderia di ghisa con la quale realizzò la maggior parte dei componenti di questa nuova impastatrice e, grazie all’abilità dei suoi operai, riuscì ad effettuare su questi pezzi lavorazioni meccaniche per asportazione di truciolo impensabili per quei tempi. Il risultato fu un successo grandioso. L’idea funzionò e il risultato fu una macchina impastatrice in grado di impastare la pasta da pane e pasticceria mantenendo le stesse caratteristiche organolettiche di quella ottenuta con le lavorazioni manuali, ma con un grande vantaggio dal punto di vista di tempo e di fatica. Per questo decise di battezzare col nome ‘La Vittoria’ la sua prima macchina, che divenne sinonimo di robustezza e qualità (e da qui il detto: una Pietro Berto la lasci in eredità ai tuoi nipoti)”.
di Redazione Thiene on line