Sei una giovane autistica e vuoi avviare un’impresa? Paghi due volte i contributi Inps, 7 mila euro annui, spartiti ‘democraticamente’ tra la giovane aspirante imprenditrice e il di lei padre, quale suo amministratore e tutore.
L’assurdità della burocrazia italiana è calata sulla famiglia di Virginia Verzulli, ventenne abruzzese affetta da autismo, presentandole un conto salato ancora prima che la sua impresa di e-commerce vedesse la luce.
Da che basi è partito il conteggio dell’Inps? Semplice, ravvisando come due i soggetti che operano all’interno dell’attività, Virginia quale neo imprenditrice e Dario il padre tutore-amministratore trattato al pari di un addetto alle vendite, in un’interpretazione rigorosa della legge in materia di contributi, esulando la soggettività del caso, ancorandosi a quelle norme che per la prima volta nella vita di Virginia l’ha resa uguale ai non disabili.
Mai così vicino è lo Stato ad una famiglia, chiedendone celermente soldi, per un’idea di impresa che punta a dare uno scopo di vita ad una ragazza autistica, tagliata su misura per lei, che di prospettive di assunzione ne vedrà mai nella sua vita in Italia.
Una famiglia che nel progetto di vita comune di due genitori, riassunto nel fagotto che orgogliosi presentano ai parenti appena usciti dall’ospedale, vede la propria felicità litigare coi segnali di quei sintomi che delineeranno il destino del loro pargolo.
Virginia che in questi suoi ventanni, senza colpe, ha travolto come un treno in corsa la vita di mamma e papà. “Gestire l’autismo grave nella vita ordinaria non è cosa semplice, ma anche questa situazione non è nota ai più – racconta papà Dario – Tutte le notti Virginia si sveglia verso le 2-3 e, con un po’ di pazienza, riusciamo a recuperare la sua tranquillità dopo un’ora, serve sempre qualcuno pronto e arzillo pronto ad assisterla e in grado di comprendere i suoi bisogni”.
Dopo un iter non semplice durato 6 mesi negli uffici della Camera di Commercio di zona, per ottenerne l’iscrizione, in casa Verzulli è arrivata veloce la prima richiesta Inps, nella consuetudine di chi normalmente accende una posizione camerale: circa 3500 euro, spartiti in comode 4 rate ancora prima che l’impresa cominci a fatturare, ma questo è un rischio dell’imprenditore e l’Inps non se ne guarda.
Da qua l’appello di papà Dario al presidente della repubblica Mattarella e al ministero del Lavoro in cui denunciava la differenza di trattamento previdenziale per i lavoratori disabili: se assunti come dipendenti (ma non è il caso di Virginia) vengono riconosciuti sgravi e agevolazioni ai loro datori di lavoro, mentre nulla prevede se lavoratori autonomi con disabilità. La risposta si è fatta un po’ attendere ma ha spento le speranze, riassunta in un “Paga”, declinando alle regioni la possibilità di eventuali agevolazioni.
Ma lo Stato non ha dimenticato il caso di Virginia Verzulli, no, se lo è studiato per bene e pochi giorni fa, tramite il celeberrimo ente pensionistico, ha inviato una raccomandata indirizzata al papà Dario, intimandolo a pagare a breve scadenza i contribuiti Inps in capo a lui “Solo perché io risulto il tutore e amministratore di sostegno di Virginia – commenta Dario Verzulli – Per l’Inps io appartengo alla categoria commerciale anche se di fatto non faccio nulla”.
Un colpo basso di uno Stato, che sempre meno scende in campo a tutelare gli imprenditori e che nel caso di Virginia pretende il doppio dell’obolo, scadendo in un gioco perverso come se la disabilità fosse un lusso per chi vuol avviare un’attività, non con la pretesa di farci i soldi ma di dare il via ad un’opportunità di lavoro che fosse da apripista ad attività autonome in grado di coinvolgere persone con autismo.
Paola Viero