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La storia di Angela, 61 anni, un tumore e senza tetto. “Mi lavo nei bagni dell’ospedale”

(esclusiva Agi)“Mi chiamo Angela Sepe, ho 61 anni e un tumore al fegato. Vivo per strada dall’estate del 2021 assieme a mio figlio malato di cuore. Ci laviamo tutte le mattine nei bagni dell’ospedale Niguarda”.

Il centro di accoglienza e il lavoro notturno per Amazon

Non è andata così. “Per 18 mesi sono stata in un centro di accoglienza gestito dagli evangelisti in via Padova mentre mio figlio era ospite da amici. Eravamo una ventina in una grande stanza, c’erano solo due bagni. Chi arrivava prima si faceva la doccia, gli altri no perché a un certo punto non c’era più acqua e dopo le 20 le docce erano vietate. Così mi sono presa una brutta infezione alle vie urinarie”. Quando la signora Angela è uscita dall’ospedale non è potuta tornare nel centro “perché era finito il ‘Piano Freddo’ e stavano chiudendo e poi sono stata ospite di un centro gestito da un prete”.

In quel momento però succede qualcosa di buono: viene assunta, tramite una cooperativa, in un centro di smistamento di prodotti Amazon a Buccinasco, cittadina appena fuori Milano: “Ma lavoravo di notte e quindi per me non era più possibile accedere ai centri di accoglienza. Però guadagnavo qualcosa e con lo stipendio sono riuscita ad affittare una stanza a Saronno, in provincia di Varese, a 450 euro, dove sono andata a vivere con mio figlio”.

Dura solo alcuni mesi, poi il Covid sfigura il mondo e anche la sua vita.

La malattia e la vita in macchina

“Perdo il lavoro perché le cooperative chiudono e andiamo a vivere da un’amica vicino a Pavia. Quando ricevo la diagnosi di cancro lei si spaventa per le conseguenze delle cure e ci manda via”. Dopo l’operazione al fegato (“Il tumore è stato tolto , per fortuna, ma devo fare della terapia con le pastiglie al posto della chemio ”), finisce sulla strada. “Il mio ex cognato mi regala un’auto che avrebbe dovuto far demolire e dormiamo lì. Spaventati dai cinghiali e da altri animali, anche i lupi che a volte si fanno vivi in quella zona, decidiamo di tornare a Milano nel quartiere Niguarda dove ho sempre vissuto dagli anni Settanta. Con mia madre dopo che mi sono lasciata col padre di mio figlio”.

Questa volta però senza un tetto e col ragazzo che soffre di disturbi psichiatrici sempre più gravi ed è in cura da uno psicologo (“gratis, almeno per questo c’è il sistema sanitario”) e per una pericardite non ancora risolta.

Il problema della dignità

Hanno i problemi di tutti quelli che sono come loro sono diventati: mangiare e lavarsi. Il problema della dignità. “Non sempre riusciamo a mettere insieme i pasti, da un mese mi è stato concesso un reddito di cittadinanza di 366 euro e sono in attesa della pensione di invalidità che è appena stata accettata”.

“All’ospedale andiamo a lavarci nei bagni al piano delle prenotazioni delle visite, a volte mangiamo anche lì”. E di giorno cosa fate? “Giriamo per strada cercando un riparo, in un bar o altrove. Vediamo qualche amico”. Con lei, durante il nostro incontro, c’é Savina, una residente animatrice di molte iniziative di solidarietà nel quartiere.

A gennaio le è stata respinta una nuova domanda per un alloggio popolare. La gestione di queste case è divisa tra il Comune e la Regione ed è stata più volte al centro di duri scontri tra il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il presidente della Regione Attilio Fontana per i costanti problemi che si presentano tra i quali la morosità degli inquilini, gli sfratti, gli appartamenti sfitti in attesa di venire riassegnati, le questioni di ordine pubblico.