RICEVIAMO e PUBBLICHIAMO
Il Presidente della Regione ha annunciato un piano da 100 milioni di euro per l’adeguamento della sanità pubblica veneta alle necessità di “risposte che potrebbero essere necessarie qualora, come alcuni esperti prevedono, il coronavirus dovesse tornare all’attacco in autunno.”
A noi pare che con questo “piano”, in realtà, si tenti di porre rimedio a vent’anni di depotenziamento della sanità pubblica nella nostra regione, depotenziamento che ci ha portato ad affrontare con affanno l’emergenza Coronavirus che è stata superata solo grazie alle intuizioni degli scienziati e al lavoro immane svolto dai medici, dagli infermieri e da tutti gli operatori del settore sanitario, non certo grazie alle scelte dei vertici della sanità veneta.
Parliamo di:
– taglio di 3.629 posti letto negli ospedali pubblici tra il 2002 e il 2019, mentre i posti letto nelle cliniche private, nello stesso periodo, sono aumentati di 517 unità;
– chiusura di ospedali e tagli di reparti (in particolare di lungodegenza) che mettono in difficoltà nell’accesso alle strutture ospedaliere e ai servizi di urgenza soprattutto i residenti nelle zone montane e periferiche della nostra regione, e le chiusure proseguono anche in queste settimane;
– la riduzione, tra il 2002 e il marzo 2020 dei posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva da 1.176 a 579;
– mancato potenziamento, se non addirittura marginalizzazione, delle strutture di medicina territoriale che – anche sulla base della legislazione nazionale – avrebbero dovuto integrare sempre di più la rete degli ospedali e, invece, non sono state minimamente sviluppate;
– precarizzazione e impoverimento del lavoro nella sanità pubblica fino ad arrivare ad assegnare la gestione di interi reparti a cooperative o quella di un pronto soccorso a una clinica privata;
– nessun impegno della Regione per l’incremento del numero delle borse di studio per i laureati in Medicina specializzandi: la carenza di questo fondo “tagli fuori” ogni anno migliaia di giovani dalla possibilità di conseguire la specializzazione ed è il vero motivo della carenza di medici nei nostri ospedali e nei nostri territori;
– mancato riconoscimento delle nuove professionalità del personale infermieristico garantite da leggi nazionali di cui la Regione Veneto non ha ancora recepito il contenuto, impedendo così alle infermiere e agli infermieri che lavorano in Veneto di mettere a frutto nel migliore dei modi le loro competenze;
– centralizzazione delle scelte in materia di sanità, con le Ulss provinciali e l’Azienda Zero che invece di rispondere ai sindaci e ai consigli comunali, alle peculiarità dei territori, alle esigenze quotidiane dei cittadini, seguono solo le logiche dei risparmi di spesa a tutti i costi e le imposizioni della burocrazia regionale.
Speriamo non solo che il “piano” presentato dal Presidente della Regione rappresenti una totale inversione di tendenza rispetto a queste politiche ma che non un centesimo dei fondi garantiti dallo Stato al Veneto vada alle strutture sanitarie private, in una regione come la nostra in cui (come si legge in un articolo della stampa locale del 29 dicembre 2019) la spesa pro-capite per la sanità privata è già superiore del 16% alla media nazionale.
Il coordinamento regionale de Il Veneto che vogliamo
La manovra da 100 milioni per rafforzare la sanità ed il piano se il virus tornasse in autunno