Guardate Francesca quanto è stata brava l’altra notte”. “Vaffanculo. Ora tutti vedranno i tuoi video“.

Roma in questi ultimi giorni è stata sommersa da una tempesta di volantini, diffusi nei luoghi più frequentati della capitale.

Le frasi vengono accompagnate da un semplice QR code, che promette video intimi di queste ragazze, chiaramente vittime di quel triste fenomeno dilagante che tutti abbiamo imparato a conoscere come “revenge porn“.

Ma inquadrare il QR code con il proprio telefonino non soddisfa nessun pernicioso voyerismo di aspiranti onanisti ma, al contrario, fa partire un fortissimo video di denuncia.

Cosa pensavi di fare? Volevi vederla nuda senza il suo consenso? Condividere materiali pornografici senza il permesso dell’altro è un reato. E chi guarda non è uno spettatore innocente. Se guardi sei complice

Il video ha come obiettivo non tanto quello di convincere il disagiato mentale che diffonde il video a non farlo, ché quella poi è una causa persa, ma ha lo scopo di superare l’indifferenza di chi fruisce di questi contenuti, far capire loro che non è una cosa normale, metterli di fronte alle proprie responsabilità, e soprattutto ricordare loro che è complice anche chi il video lo guarda senza denunciare.

La potente ed incisiva campagna di guerrilla marketing nasce da cinque ragazze, di cui una in passato già vittima di revenge porn, tutte studentesse del prestigioso IED, l’Istituto Europeo di Design, che ha tra i propri obiettivi primari proprio quello di utilizzare il design come linguaggio universale per il cambiamento.

L’esperimento pare essere riuscito.

In Italia le vittime di questo fenomeno sono oggi più di cinque milioni, un numero impressionante, e la maggioranza – manco a dirlo – sono donne, costrette a subire le proprie immagini e i video rubati nell’intimità, condivisi e diffusi senza il loro consenso.

Ma il retrogusto amaro del fenomeno lo troviamo proprio nelle persone che visualizzano questi contenuti privati, ben 14 milioni, che, confrontati con l’esiguo numero delle denunce, evidenziano la triste indifferenza generale con cui si scontra questo fenomeno, una grave carenza di empatia che lascia frastornati, un vero e proprio tumore sociale.

Fabrizio Carta

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia