La Tac è uno strumento salvavita indispensabile, che negli ultimi 30 anni ha cambiato il volto della medicina. Oggi nessun ospedale potrebbe esser concepito senza un TAC, perché ci consente in ambiti molto diversi di arrivare tempestivamente e accuratamente alla diagnosi. E questo, soprattutto nei casi gravi, significa appunto poter salvare la vita ai pazienti. Sul valore della TAC, quindi, non si discute”. Così il professor Mariano Scaglione, fondatore della European Society of Emergency Radiology (ESER) e direttore della Scuola di specializzazione in Radiodiagnostica dell’Università di Sassari, intervistato dalla Dire in merito al recente studio condotto da un team di ricercatori dell’University of California San Francisco (Ucsf), secondo cui l’utilizzo troppo diffuso di tomografie assiali computerizzate (TAC) potrebbe essere responsabile di circa il 5% di tutti i tumori diagnosticati ogni anno. Secondo la ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista ‘Jama Internal Medicine’, le radiazioni ionizzanti (che sono cancerose) emesse durante questi esami – nonostante siano fondamentali per la diagnosi di molte patologie – potrebbero aumentare in modo significativo il rischio di sviluppare tumori futuri, come quelli ai polmoni, al seno, alla vescica o alla tiroide. I neonati risultano i più vulnerabili, con un rischio stimato dieci volte superiore rispetto agli adulti. “Il problema- evidenzia il professor Scaglione- è che nel corso di questi ultimi 30 anni, proprio perché è cambiato l’approccio al paziente, che è diventato sempre più strumentale, abbiamo assistito ad un incremento esponenziale di richieste di esami TAC, e questo su scala globale. Poi c’è un altro problema, che ci riguarda invece da più vicino: mentre società più evolute della nostra ormai lavorano con Linee guida e approcci standardizzati, in Italia purtroppo non è così, non esistono comportamenti univoci sulla TAC, per cui si ricorre molto spesso ed impropriamente a questa indagine”.

E questo, spiega l’esperto, “da un lato perché abbiamo un problema, che è sotto gli occhi di tutti, che riguarda l’organizzazione della sanità è la mancanza di personale sanitario, dall’altro perché abbiamo il grosso problema della medicina difensiva, che – stando ai dati – costa dai 10 ai 15 miliardi di euro all’anno al nostro Paese. Medici e infermieri, soprattutto nei pronto soccorso, lavorano sotto pressione e con il rischio di denunce, che poi portano ad un esito positivo soltanto nell’1% dei casi. Non vengono tutelati per mancanza di Linee di guida e il risultato è che molti fuggono all’estero o nel privato”. Secondo il fondatore di ESER, inoltre, c’è il problema della “caotica” medicina territoriale, con i medici di famiglia che “non vengono supportati, per cui molti dei loro assistiti spesso si riversano nei pronto soccorso, con la conseguenza di ricoveri impropri. Allora come si fa a screenare velocemente i pazienti? Sottoponendoli ad esami che durano pochi secondi, quindi alla TAC, ma che come limite, evidentemente, hanno l’esposizione ai raggi X. È per questo che su scala globale stiamo registrando questo trend inevitabile- sottolinea il professor Scaglione- perché abbiamo a disposizione uno strumento che in pochi minuti, nella maggioranza dei casi, rivela cosa ha il paziente e ci consente di sfollare il pronto soccorso”. In Italia, in aggiunta, mancano medici, infermieri e personale parasanitario: “Ma è ovvio- commenta Scaglione alla Dire- chiunque gioca una carta, va via. Siamo sottopagati, abbiamo turni massacranti, non esiste il turnover e non sappiamo cosa sia la meritocrazia. È un problema atavico dell’Italia, i professionisti fuggono, imparano un po’ di inglese e iniziano a girare il mondo. Onestamente, come cittadino, non oso immaginare da qui a 10 anni cosa accadrà negli ospedali. Sono seriamente preoccupato”.

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