“Ho lasciato la famiglia, in Nigeria, quando avevo 20 anni perché non potevano mantenermi, e sono finita in Libia, dove ho trascorso 8 anni, 4 dei quali in carcere. Credevo che la Nigeria fosse un Paese brutto, ma la Libia è decisamente peggio”. Inizia così la testimonianza di L., 28 anni, agli operatori di Emergency. La donna, di origini nigeriane, è tra i 47 naufraghi tratti in salvo dalla Life support, attraccata stamani al porto di Livorno. “Me ne sono andata da Lagos nel 2016 perché la mia famiglia non poteva più sostenermi” racconta. “Sono andata prima in Niger e poi in Libia, dove ho passato otto anni della mia vita. Pensavo che la situazione a Lagos fosse difficile, ma la vita in Libia è molto peggio. Decidere di andare lì è stata la peggior decisione della mia vita”.

Ho lavorato nella casa di una famiglia libica per circa due anni: mi trattavano come una schiava. Un giorno la mia padrona di casa mi ha detto di salire in macchina e mi ha portata alla stazione di polizia. Avevo un paio di mesi di arretrato sul mio stipendio, e lei non voleva pagarmi così mi ha accusata di aver rubato in casa sua e subito mi hanno arrestata: in un posto come quello, dove una persona di colore non ha diritti, è impossibile difendersi dalle accuse di un libico. Anche perché io non parlo arabo”. L. racconta di aver trascorso “quattro anni in prigione. Sono uscita circa due anni fa e ho iniziato di nuovo a lavorare ma già da tempo avevo capito che non potevo stare in un posto del genere. Così appena ho guadagnato i soldi per provare ad attraversare il mare, l’ho fatto. Spero che in Europa ci sia un futuro per me, un futuro che non potevo avere in un paese come la Nigeria o la Libia”.

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