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“Maternale”, il libro per “figlie e figli feriti dalla vita”

a cura di Silvia Mari

Per Carla la trascendenza è stata una necessità. Per la sua condizione di figlia non amata si è dovuta rivolgere a una vita oltre. Viveva questo sdoppiamento: tra la realtà e la dimensione dello spirito. E di fronte a questo problema più grande di lei fa una scelta di libertà spirituale: decide di amare anche se non è riamata”. E’ il messaggio potente, la formula esistenziale escogitata dal percorso interiore di una donna rifiutata da sua madre, contenuta nel libro autobiografico ‘Maternale’ di Carla Cesa (Anima Mundi editore) che, in occasione della presentazione dell’opera, tenutasi nel fine settimana a Velletri, Claudio Tartaglini, grecista, marito di Carla e curatore del testo, ha voluto ricordare ai presenti.

UN MANOSCRITTO IN EREDITÀ

L’autrice, laureata in filosofia e docente di lettere, inizia a scrivere a marzo 2022, 5 mesi dopo morirà all’improvviso. Saranno il marito e la figlia Elena a ricomporre quel manoscritto, quella scrittura “nuda” e di getto “diretta, senza mediazione letteraria, per il bisogno di essere autentica”, e a trasformarlo in un libro, ricco di note, di tutte quelle letture che hanno fatto parte della vita di Carla e che l’hanno sostenuta insieme allo studio e all’arte, era infatti pittrice di bellissime icone, a ripercorrere la sua storia. “Avrebbe potuto aiutare altre donne in quel nodo fondamentale della vita che lega una madre a sua figlia. Poteva essere utile ad altri”, ha spiegato Tartaglini.

LA STORIA DI CARLA

La storia parte dal quartiere romano di Tor Pignattara, dove Carla nasce da una madre che non le riserverà mai una parola di amore, passa alla vita giovanile, e arriva all’amore per il marito Claudio, con il quale inizierà, nella sua vita di sposa, un cammino intenso, pieno di inquietudini, tanto interiore quanto geografico, che la porterà a ripercorre quel tragico vissuto, a sopportarne il peso e il dolore “con quel modo di agire che non corrispondeva ad alcun senso logico delle cose” come ha ricordato il marito Claudio, e che è diventato però la spinta per una salvezza. Così la vita di questa donna è stata tutta una ricerca di spiritualità senza tregua: dalla fede cattolica, al contatto con la chiesa ortodossa, alla pittura delle icone “per stare con il sacro”, la Grecia e i miti, fino alle cerimonie con la pianta amazzonica ayahuasca.

Il dolore per quel rifiuto da parte della mamma diventa la colonna vertebrale del corpo di Carla e della sua anima: tutto torna li, tutto lì s’incaglia. Sceglie di liberarsi e forse di perdonare, ma lo fa ripercorrendo la biografia con gli occhi di un angelo, alla ricerca di un senso. “Siamo due e siamo uno- scrive in un passaggio quando la spinta alla trascendenza diventa la via d’uscita da questo guado di dolore- una visibile che sono io che pigio sui tasti e faccio rumore e una invisibile, la mia Forma perfetta, che mi chiama a compimento”. Per questo il viaggio è mito-biografico: dalla Terra, dal reale di ogni giorno, al cielo.

LA CORNICE DELLA PRESENTAZIONE

A dialogare con il curatore Tartaglini Alberto Camici, maestro di yoga e meditazione, amico della coppia e nel pubblico la figlia Elena. Che madre è una donna che tutta la vita ha fatto i conti con questo rifiuto, che madri sono le donne che per diverse strade hanno perduto quel materno? Non è stata una mamma ordinaria Carla, come ha ricordato il marito: “Amava e si preoccupava dell’anima e della libertà di sua figlia, è stato un amore di grande intensità”.
Nella cornice di un ex convento che 20 anni fa l’associazione Calliope, promotrice della presentazione, ha salvato dalla trasformazione in un parcheggio, risuona con particolare forza il testamento di questa donna, figlia madre e sposa, affidato a questa biografia in cui aneddoti, visioni interiori mescolate a studi (dai classici, a Jung a Claudio Naranjo) e sogni “s’intrecciano”.

A CHI PARLA IL RACCONTO?

Parlare di materno e trovare questa chiave spirituale ha un sapore rivoluzionario in un tempo che medicalizza e tecnicizza corpi, bandendo anima e questioni esistenziali: anche questo è un modo di considerare il libro un contributo particolare al dibattito attuale sull’argomento. Carla Cesa ha fatto della sua “ferita sanguinante” uno strumento per evolversi e far evolvere chi con lei ha condiviso la vita. E’ un racconto che parla alle figlie, rimaste sole, alle madri anche quelle più premurose che rapite dalle cure del quotidiano non volgono gli occhi al cuore, ai figli che possono ritrovare il filo rosso che li lega per sempre al femminile che ha dato loro la vita. Agli sposi, come Claudio Tartaglini, che ha scritto le conclusioni di questo testo riannodando tutti gli eventi in un finale, da non svelare, in cui tutto si compie in pochi attimi sulla terra, brevi e perfetti, e in un’eternità che continua a parlare, anche oggi dopo la morte, “in tantissimi segni”. Lì si compie un traguardo ‘speciale’ per questa figlia e per sua madre, divise e straniere l’una all’altra, e per tutti coloro che sono stati ‘feriti’ dalla vita.

(FOTO di Laura Bertini)