a cura di Silvia Mari
Lucia (nome di fantasia) è una di quelle mamme vittime della dottrina pseudoscientifica dell’alienazione parentale. Per lei in ctu si era parlato di ‘conflitto di lealtà’ con suo figlio, Mattia (nome di fantasia). Lo aveva raccontato alla Dire nel giorno più lungo: quando il 15 novembre 2017 il bambino a 10 anni era stato preso da scuola e portato via. Per quella diagnosi psicologica Lucia, come accade spesso alle donne che finiscono sotto perizia, non aveva visto il figlio per oltre 8 mesi e poi solo con incontri protetti ‘al 41 bis’ come aveva detto lei stessa. Come non accade nemmeno ai detenuti. Ora per lei arriva, dal Tribunale di Venezia, una nuova condanna: il rigetto del suo ricorso per esercitare la propria genitorialità e avere l’affido condiviso del figlio ormai adolescente e la condanna a pagare decine di migliaia di euro.
La sentenza arriva come una scure per Lucia che denuncia alla Dire la “vittimizzazione secondaria subita, nonché la violenza economica. Ho fatto questa causa- spiega in una missiva indirizzata anche alla commissione femminicidio- perchè mio figlio immotivatamente (dopo 6 mesi di incontri liberi a casa e dopo un decreto del novembre 2022 che finalmente aveva dato un po’ di apertura al nostro rapporto vessato da incontri protetti e da anni di vigilanza del servizio sociale) aveva deciso di non vedermi più”. Lucia a quel punto, ricostruisce la vicenda intervistata dalla Dire, invece di invocare lo spauracchio dell’alienazione parentale, propone “di fare un percorso psicologico congiunto (tra l’altro previsto anche a livello giuridico) per riavvicinarci, ma il padre- racconta- ha posto il suo netto rifiuto. All’audizione di mio figlio, dopo un anno di sua voluta sospensione dei rapporti, preso atto nuovamente del suo rifiuto, ho rinunciato alla domanda originaria che prevedeva la nomina di un CTU per affrontare un percorso diretto al ripristino del rapporto madre/figlio, insistendo quantomeno per l’affido condiviso”.
Lucia insomma traccia una strada diversa da quella che Mattia, come accade a tanti figli come lui vittime del sistema che si mette in moto dopo le ctu dell’alienazione parentale, aveva subito con il prelevamento da scuola, la comunità, l’inversione di collocamento presso il padre e chiede di poter essere almeno partecipe delle questioni fondamentali che riguardano la vita del figlio, senza costringerlo ad incontri e rispettandone la volontà. “Ma proprio per tale mia continua richiesta sono stata punita e all’ultima udienza del 31 ottobre scorso il giudice dinnanzi a noi ha evidenziato con estremo fastidio che era intervenuta la commissione femminicidio per la richiesta degli atti, sottolineando altresì che tale intervento non avrebbe inficiato il giudizio del collegio giudicante”.
“Sono stata seguita da anni dalla commissione femminicidio- spiega Lucia- e recepiti negli anni tutti gli atti afferenti la mia vicenda, ma per il Tribunale di Venezia tutto ciò è una colpa e per questo sono stata punita in tutti questi anni sia con l’allontanamento forzoso da mio figlio e successivamente con condanne economiche, solo per aver perseverato a denunziare la violenza ma anche per voler riprendere un rapporto con mio figlio, soprattutto ora dopo aver due anni fa finalmente ottenuto un decreto che dava respiro a questa situazione aberrante. Ho sottolineato più volte come il padre lo avesse condizionato in questi anni fino ad arrivare ad allontanarmelo e proprio nel momento in cui lui si stava riabituando alla vita con me. Ora mi aspetto e auspico che la stessa commissione femminicidio intervenga per porre un freno alla vittimizzazione secondaria eseguendo un’ispezione al tribunale di Venezia a tutela mia, di tutte le donne soggette dell’inchiesta e di tutte le donne vittime di violenza”.
Lucia ha deciso di denunciare quanto le sta accadendo alle Istituzioni e di portare all’attenzione dell’opinione pubblica questa svolta incredibile della sua vicenda. Un padre (già querelato per violenza fisica e psicologica anche se, per cercare di normalizzare i rapporti, la querela fu ritirata) che obbliga un figlio a vederlo riceverebbe dal sistema uno scudo totale: dalle perizie fino al prelevamento coatto. Accade in questa storia e in altri casi ‘fotocopia’. Una mamma che non obbliga a nulla non sarebbe invece degna di essere considerata genitore e paga, stando a questa sentenza, per il solo fatto di averlo chiesto. Una donna alla quale, va ricordato, la responsabilità genitoriale non era stata tolta nemmeno con il super affido al padre e che dopo gli incontri con gli assistenti sociali che avevano la “postura di guardie carcerarie” ora dovrebbe rassegnarsi ad essere estromessa ovunque, su tutte le decisioni. Per lei a quanto pare la dottrina dell’alienazione parentale (perché probabilmente, accade anche questo nei casi analoghi, lo strappo dalla mamma e il reset generano nel tempo malessere e rifiuto del genitore dal quale si è stati portati via, una sorta di alienazione messa in campo dallo Stato questa volta) non varrebbe. Per lei aver chiesto i suoi diritti di madre è stato considerato in Tribunale un oltraggio da decine di migliaia di euro.
Andava punita anche perché seguita dalla Commissione Femminicidio che si è permessa di chiedere al Tribunale una copia del fascicolo? Risponde l’avvocato Antonio Castellani del Foro di Roma, che assiste da anni Lucia: “In 25 anni di professione nelle aule dei Tribunali italiani che si occupano di diritto di famiglia non ho mai visto un accanimento del genere, punire una donna perché si è permessa di chiedere aiuto al Tribunale che, a ben vedere, insieme ai Servizi Sociali che si sono occupati della questione, è stato uno dei responsabili della distruzione del rapporto madre/figlio, tanto che si potrebbe parlare di una alienazione istituzionale”.
“D’altronde- ricorda Lucia andando indietro nel tempo- il padre me lo aveva promesso: ‘non ti uccido ma farò di tutto per portarti via tuo figlio fino a renderti una morta che cammina e fino a che lui ti odierà e non vorrà più vederti’“.