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“Io non sono caregiver, sono una life-giver”: la forza silenziosa di Rossana al fianco del marito con il Parkinson

Questa  non è solo la storia di una malattia, è un inno alla resilienza dell’amore. E oggi, più che mai, dovremmo ascoltarlo.

“Mister Parkinson, a volte ho pensato che animale saresti potuto essere. Un giorno bradipo, un altro scimmia impazzita.”
Con queste parole, Rossana Braga si rivolge alla malattia che da oltre vent’anni condivide con il marito, il dottor Alberto Pairotti, ex direttore sanitario del CTO di Torino, colpito da una forma giovanile di Parkinson. Ma più che un’invocazione disperata, la sua è una dichiarazione d’amore lucida, intensa, e soprattutto viva. Rossana non è solo una moglie, una madre, una professionista: è la colonna portante di un’esistenza condivisa con la malattia, e per questo ha scelto di definirsi “life-giver”, colei che dà la vita, non solo cure.

Quando l’amore diventa resistenza

La diagnosi è arrivata come una frustata, a 43 anni, nel pieno della vita professionale e familiare. Alberto, medico, conosceva bene le implicazioni della malattia, almeno dal punto di vista clinico. Ma nessuna competenza scientifica può preparare davvero alla quotidianità che il Parkinson porta con sé: un lento scolorire di gesti, autonomie e certezze.

Negli anni, il decorso si è manifestato con un volto sempre più imprevedibile e complesso. I famosi “momenti OFF” — quei periodi in cui il paziente sembra spegnersi, scollegarsi dal mondo — sono diventati frequenti, allungandosi, costringendo entrambi a un adattamento continuo. “È come se all’improvviso mio marito non esistesse più”, racconta Rossana. “In quei momenti sei fuori dalla vita, e non puoi programmare nulla.”

Il carico invisibile del “dare tutto”

La malattia ha tolto, trasformato e ridefinito i ruoli. “Da moglie sono diventata tutto: padre, madre, sostegno materiale e psicologico, presenza costante”, confessa. Una trasformazione che va oltre il caregiving tradizionale. “Io non curo solo. Io do la vita. E la cosa straordinaria è che, nel farlo, quella vita mi torna indietro. Vedere Alberto vivere, nonostante tutto, mi ridà la forza per affrontare ogni giorno.”

Rossana preferisce quindi un altro termine: life-giver. Perché ciò che fa non si limita all’assistenza. È amore tradotto in azione quotidiana, è respiro donato, è gesto che consola e sostiene. La sua non è solo una testimonianza personale, è anche un invito a cambiare la prospettiva: “Si parla sempre del paziente, ma quasi mai di chi sta accanto. Eppure, se crolla il caregiver, crolla anche chi è malato.”

Il simbolo di un legame profondo

Per raccontare visivamente questa connessione, Rossana ha scelto di affidarsi all’intelligenza artificiale, generando un’immagine simbolica: un albero della vita, in cui lei è china su Alberto, quasi a proteggerlo e nutrirlo. “Mi sono resa conto che sono sempre piegata su di lui, fisicamente e metaforicamente. Quell’immagine racconta il nostro legame, quel cerchio invisibile che ci tiene uniti e vivi.”

Un appello per tutti i life-givers

La  storia di Rossana, se si pensa che ci sono tanti invisibili che si occupano di genitori anziani e di figli disabili, assume un valore ancora più potente. Rossana non chiede lodi, né pietà. Chiede attenzione. Chiede che si guardi anche chi sta un passo dietro al malato, sorreggendolo senza clamori. Chiede che si pensi a forme di sostegno strutturate, a reti di volontariato potenziate, a uno Stato che non lasci soli i “donatori di vita”.

“Abbiamo avuto la forza di trovare una nuova normalità”, dice. “Anche grazie a nostra figlia, cresciuta senza che le facessimo pesare nulla. Spesso mi ripeto: le nuvole passano, ma il cielo rimane. E questo cielo è ciò che ci tiene in piedi, anche quando tutto sembra crollare.”

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