di Silvia Mari

“Ho paura che ti fanno del male mamma o che mi prelevano ancora”. Sono le parole di un ragazzino di 13 anni segnato dal trauma di un prelevamento coatto avvenuto ad ottobre 2021 per decreto del Tribunale di Busto Arsizio. Il video del ragazzino asserragliato in auto mentre la mamma grida di fermarsi è finito ovunque. Una denuncia che è valsa a Teresa (la mamma di questa storia) decreti di fuoco del Tribunale, perché si era rivolta alla stampa, e anche un processo per essersi opposta a quel prelevamento di suo figlio. A marzo 2022 la Cassazione con la sentenza ‘Massaro’ avrebbe poi stabilito che questi provvedimenti in nome dell’alienazione parentale, come è il caso di Teresa e suo figlio, sono fuori dallo Stato di diritto. Oggi questo bambino, dopo esser finito in casa famiglia, è stato collocato presso il padre.

LA “VECCHIA” TUTELA DEI MINORI NON RISPONDE AL LEGALE

La vecchia Tutela dei Minori, responsabile del caso, sollecitata dal legale che segue oggi Teresa, Alfredo Di Costanzo, né al telefono né dopo 3 PEC ha fornito l’indirizzo dove vive il minore. Solo il 25 luglio, il legale ha ricevuto questa comunicazione: “Per avere informazioni relative al corretto indirizzo di residenza del minore può rivolgersi agli uffici competenti”.
Il figlio di Teresa cambiando residenza è stato affidato alla Tutela di un altro Comune. Il tutto, fa sapere il legale, non è stato mai comunicato a mezzo PEC ma “lo si è scoperto solo a seguito di una telefonata fatta alla vecchia tutela. La telefonata- racconta alla Dire- nasce dal fatto che la mamma si è accorta che in una mail ricevuta era indicata tra i destinatari della missiva anche una referente della cooperativa Proges che a quel punto è stata contattata e che ad oggi è incaricata di organizzare e calendarizzare gli incontri tra Teresa e il figlio”.

Dopo ben 3 settimane Teresa però ancora non è riuscita a vedere il figlio. La risposta della cooperativa alla telefonata dell’avvocato è stata di questo tenore: “La psicologa è part time, gli assistenti sociali non ci sono…siamo a corto di personale, le faremo sapere”. Nessuna tempistica, nessuna data.
“Dopo la casa famiglia è diventato freddo e controllato e me lo ha detto che ha paura ‘a chiamarmi mamma, abbracciarmi o piangere”, ha raccontato mamma Teresa alla Dire. E’ il risultato di quei percorsi di reset che vengono imposti nei collocamenti in casa famiglia ai bambini strappati dalle mamme: quel troppo amore da recidere e controllare, diagnosticato come alienazione parentale, che trasforma il cuore e l’infanzia di questi innocenti. Il piccolo dopo il prelevamento coatto è infatti finito in comunità. La mamma ha seguito un calendario di visite protette, come fosse pericolosa, sempre con le educatrici: potevano andare al parco insieme o a prendere un gelato ogni 15 giorni, ma sempre accompagnati. In questa situazione mamma Teresa ci è finita quando una ctu l’ha bollata come ‘alienante’: “Era praticamente impossibile staccare il minore dalla madre, la toccava, la ciucciava, è come se- si legge nella perizia- non ci fosse una differenziazione tra madre e figlio”. Una spirale, il solito copione, che si scatena quando il padre del bambino viene denunciato per violenza. L’uomo è stato peraltro condannato per lesioni e omesso mantenimento, ma questo non cambierà nulla nelle decisioni del Tribunale che continuerà nella strada di separare figlio e madre. E ci riuscirà.

“DOPO TRE ANNI NESSUN MIGLIORAMENTO”

“In tre anni la mia situazione non è mai cambiata. L’ultimo decreto prevede di aumentare i miei incontri, ma non sono mai stati aumentati”. Teresa fa di tutto per rivedere suo figlio: fa un percorso psicologico come le viene chiesto in un centro privato pagando di tasca sua, un altro con la professoressa Palmieri, ma non basta. Quindi chiede di farlo presso un centro pubblico, ma nessuno risponde. Rinuncia ad andare a vivere dal suo compagno, come il Tribunale le chiede di fare. Ma nulla basta. “Oggi- ha spiegato- mio figlio non è più in comunità, ha cambiato residenza e non so dove sia, so solo che vive con il padre e la compagna e il figlio di lei e io non ho più nemmeno un calendario di visite stabilite”. Lei come madre ‘alienante’ non poteva andare a vivere dal suo compagno, lui come padre anche condannato nel penale, che a Teresa aveva chiesto di abortire, come lei ha ricordato nella sua testimonianza, può.
“E’ cambiata la residenza del bambino, è cambiata la tutela del minore e ad oggi non so dove è né quando posso rivederlo. Un accanimento quello dei servizi sociali di S.L.: dicono che secondo il giudice non devo sapere dove si trovi mio figlio”.

L’AVVOCATO: PROCESSO KAFKIANO

“Quello di questa mamma è un processo kafkiano dai toni gattopardeschi”, ha dichiarato alla Dire l’avvocato Di Costanzo che, insieme al collega Luciano Castaldi, segue da poche settimane il caso. A questa assenza di informazioni e al vuoto del servizio sociale che ha preso in carico il minore, si aggiunge un problema scolastico che l’avvocato tiene a sottolineare come atto che ‘calpesta’ i diritti del minore. I vecchi servizi sociali solo nella PEC inviata all’avvocato Di Costanzo rispondono: “L’istituto scolastico scelto per il minore in accordo con l’Ente affidatario garantisce al minore un’adeguata formazione; il minore è stato coinvolto nella scelta anche in base all’ubicazione della scuola ed agli spostamenti che dovrà sostenere. È interesse del padre e del Servizio mantenere vivi gli interessi del minore anche al di fuori del percorso didattico. Se il ragazzo vorrà, potrà proseguire lo studio della musica a prescindere dall’Istituto scolastico in cui è stato iscritto”. Il figlio di Teresa ha sempre avuto una passione per la musica e il 17 luglio si era rivolto al giudice tutelare per vedere soddisfatte l’interesse e le aspirazioni del minore affinché frequentasse una scuola ad indirizzo musicale.
“Io sono stata dimenticata- ha ammesso Teresa- mentre alla compagna del padre di mio figlio, con la quale ora vive, è stato fatto persino un corso. Io invece attendo ancora di sapere qualcosa e siamo ritornati agli incontri in spazi neutri ogni 15 giorni, peggio di due detenuti”. Incontri che aspettano di essere calendarizzati.
Ancora una volta il figlio di Teresa, dopo il trauma del primo prelevamento “è stato trasferito dalla sera alla mattina alla comunità dove ormai stava da anni e aveva un amico del cuore, a vivere con il padre. E’ questo il modo di rispettare i diritti del minore, e la bigenitorialità per me non vale?”, si domanda questa mamma.
Il figlio di Teresa era molto affettuoso, mentre oggi, come lei ha descritto, è controllato, il risultato di questi anni da sorvegliato speciale, “parla di lavoro, ha cambiato persino look” ma in qualche colloquio, magari sottovoce, “mi ha chiesto di scrivere un libro- ha detto Teresa sospirando- perché tutto questo non accada ad altri bambini”.

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