Dall’autopsia era emerso che Camilla «non aveva alcuna patologia pregressa e non aveva preso alcun farmaco». E che la morte per trombosi era «ragionevolmente da riferirsi a un effetto avverso da somministrazione del vaccino anti Covid».
Il caso di Camilla Canepa è stato uno dei più discussi e dolorosi nel contesto della campagna vaccinale contro il Covid-19 in Italia. La sua morte, avvenuta poco dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca durante un open day, aveva sollevato forti dubbi e acceso il dibattito pubblico, in particolare per il coinvolgimento di una ragazza così giovane e apparentemente sana.
Con la decisione del gup Carla Pastorini di prosciogliere i cinque medici con la formula “perché il fatto non sussiste” per l’accusa di omicidio colposo, e “perché non costituisce reato” per quella di falso ideologico , la giustizia ha stabilito che non vi sono responsabilità penali da parte del personale sanitario coinvolto nella gestione clinica della ragazza.
La procura sosteneva che un corretto iter diagnostico, in linea con le linee guida ministeriali avrebbe potuto portare a una diagnosi tempestiva e, forse, a una diversa evoluzione clinica. Ma evidentemente il giudice ha ritenuto che non vi fossero elementi sufficienti per sostenere l’accusa, probabilmente considerando anche la complessità e la rarità della sindrome da trombosi indotta da vaccino, che all’epoca era ancora oggetto di studio e poco conosciuta nei suoi meccanismi e segnali precoci.
