Recentemente, Coldiretti ha affermato che l’Italia importa il 60% del grano per pane e pasta, generando preoccupazioni sulla qualità dei prodotti. Un articolo de  Il Fatto Alimentare, firmato non da un giornalista qualunque, ma dal direttore stesso dell’autorevole testata giornalistica, smentisce queste affermazioni, sottolineando che l’Italia importa principalmente grano tenero per il pane, ma non per la pasta, dove predomina il grano duro nazionale. “La confusione viene alimentata per scopi politici, distorcendo la realtà del settore agroalimentare italiano e creando un allarme infondato sulla qualità del grano importato”, è l’accusa lanciata a Coldiretti senza mezzi termini da Roberto La Pira, giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare, laureato in Scienze delle preparazioni alimentari (ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi). L’esperto, che come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari, scrive: “A causa dell’andamento climatico sfavorevole quest’anno il raccolto di grano tenero presenta grosse criticità. Questo vuol dire che raggiungerà a stento 2,85 milioni  di tonnellate. C’è di più. Una parte significativa del raccolto non potrà essere utilizzata dall’industria alimentare e verrà destinata ad uso zootecnico o ad altri usi. Vuol dire che per soddisfare il  fabbisogno nazionale importeremo il 65% del grano tenero necessario da Paesi UE il 60% della produzione nazionalecirca 5,5 milioni di tonnellate). A dispetto delle fake news di Coldiretti che periodicamente insinua sospetti sulle caratteristiche del grano, la materia prima importata è di alta qualità, visto che l’industria molitoria italiana è considerata un fiore all’occhiello del ‘Made in Italy’,  grazie alla capacità di individuare, selezionare e miscelare le varie partite. La  farina di grano tenero è destinata per il 57% alla panificazione, per il 20% alla produzione di biscotti, prodotti da forno e pasticceria. La rimanente quota serve per le pizze (10%), l’export, usi domestici (4%) e alla produzione di pasta fresca (2%)”.

Il 60% della pasta finisce all’estero

Sempre su Il Fatto Alimentare si legge: “Per quanto riguarda il grano duro usato per la pasta, la semola coltivata in Italia raggiunge 3,5 milioni di tonnellate e copre tranquillamente i consumi interni (23 kg di pasta l’anno pro capite) (*). Il problema è che il 60% della pasta prodotta in Italia è destinata all’esportazione. Per questo motivo ogni anno importiamo oltre 3 milioni di tonnellate di grano di alta qualità da Paesi come: Canada, Turchia, Francia e Stati Uniti. Si tratta di quantitativi necessari per produrre ed esportare la nostra pasta in tutto il mondo.

“Questi soni i numeri – sottolinea l’Associazione Industriali Mugnai d’Italia (Italmopa) – altre considerazioni sulle  importazioni selvagge di grano di dubbia provenienza e qualità sono dettate da interessi di categoria abilmente celati dietro una presunta difesa degli interessi dei consumatori”.

Il riferimento di Italmopa alle lobby che da anni portano avanti una campagna di denigrazione verso il grano importato è abbastanza evidente. Viene naturale pensare a Coldiretti, che da anni diffonde fake news sul grano importato puntando il dito contro un settore come la pasta considerata un fiore all’occhiello del made in Italy nel mondo.
(*) Da 1 kg di grano non si ricava 1 kg di semola e nemmeno 1 kg di pasta.

 

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