Le dighe potrebbero trasformarsi, almeno in parte, da problema ambientale a soluzione per alleviare la sete dei campi coltivati di tutto il mondo: infatti, se venissero usate per immagazzinare acqua, potrebbero fornire risorse sufficienti ad irrigare i raccolti per circa 641 milioni di persone. Lo afferma uno studio dell’Università statunitense di Stanford pubblicato sulla rivista dell’Accademia nazionale americana delle scienze (Pnas). La ricerca, tuttavia, sottolinea che le dighe possono essere solo parte della soluzione e sconsiglia la costruzione di nuove strutture, a causa del grande impatto negativo che hanno sugli ecosistemi fluviali.
I ricercatori, guidati da Rafael Schmitt, hanno analizzato la quantità di acqua dolce nei corpi idrici superficiali e sotterranei generata e rinnovata dai cicli naturali, nonché il fabbisogno idrico dei terreni attualmente destinati all’agricoltura: se tutte le 3.700 dighe mappate fossero usate anche per l’irrigazione, gli autori dello studio stimano che potrebbero fornire acqua sufficiente per sfamare 641 milioni di persone.
Nonostante il potenziale offerto dalle dighe, tuttavia, i ricercatori mettono in guardia dal fare affidamento su di esse in modo significativo per la risoluzione del problema: oltre all’impatto ambientale, infatti, questo metodo richiederebbe comunque costi elevati legati alla necessità di convogliare l’acqua verso campi agricoli lontani. Soluzioni alternative e più rispettose dell’ambiente per l’irrigazione includono la raccolta dell’acqua con piccole dighe, la ricarica dei sistemi idrici sotterranei con l’acqua superficiale in eccesso ed una migliore gestione dell’umidità del suolo nei campi agricoli. Inoltre, gli autori dello studio sottolineano che la domanda di acqua può essere ridotta attraverso migliori tecniche di irrigazione o l’adozione di colture meno bisognose di acqua.
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