L’efficacia delle campagne di screening per il tumore alla mammella, infatti, ha rappresentato un successo nella diagnosi precoce, accesso a cure innovative in caso di diagnosi di cancro e quindi sopravvivenza.
Per molte donne però la pandemia da COVID-19 ha complicato l’accesso alle strutture sanitarie per effettuare gli esami di screening.
Come evidenzia uno studio di revisione pubblicato sulla rivista scientifica British Medical Journal (BMJ), ritardi di 8-12 settimane nell’intraprendere le cure (farmacologiche o chirurgiche che siano) possono portare a un ritardo della guarigione e un aumento della mortalità per cancro al seno fino all’8% rispetto alle donne che vengono curate nei tempi corretti.
Tuttavia, l’indicazione per le cura dipende però dalla diagnosi e dai risultati degli screening e dei controlli. Ne consegue ovviamente sottolineare l’importanza per le donne di non ritardare gli esami di screening per il tumore al seno.
Ne parliamo con le dottoresse Valentina Errico, senologa, e Sara Galli, senologa esperta di diagnosi di Humanitas San Pio X.
Screening e cancro al seno
«Non ci sono ancora dati relativi ai ritardi nella diagnosi precoce per il cancro alla mammella nella popolazione femminile dovuti alla pandemia COVID-19, ma resta fondamentale non abbassare la guardia nei confronti della prevenzione. La mortalità per cancro al seno infatti è scesa drasticamente negli ultimi trent’anni, grazie sia a diagnosi precoce e terapie innovative. Sottoporsi agli screening è fondamentale, e in modo particolare per le donne che presentano elevati fattori di rischio per il tumore alla mammella», sottolinea la dottoressa Errico.
Quando fare la mammografia?
Continua la dottoressa Galli: «La maggioranza delle donne ha un rischio medio-basso di sviluppare cancro al seno (inferiore al 15-20%) nell’arco della propria vita. In queste donne, l’età è il fattore principale perché il rischio di tumore al seno aumenta con l’età. Decidere quindi di sottoporsi agli esami di screening è altresì importante specie dopo i 40 anni dal momento che l’incidenza del tumore al seno, nella popolazione femminile generale, è piuttosto bassa prima dei 40 anni. A partire da questa età, l’esame più sensibile e specifico per la diagnosi precoce di cancro alla mammella è la mammografia che può essere associata a ecografia sulla base delle indicazioni del senologo e la valutazione della densità della mammella. Revisioni sistematiche di numerosi studi randomizzati degli ultimi cinquant’anni hanno dimostrato che lo screening mammografico per le donne dai 50 ai 70 anni diminuisce il rischio di mortalità per cancro al seno, e riduce il rischio di diagnosticare cancro avanzato nelle donne over 50».
Se la mammografia non è nella norma
«L’obiettivo dello screening del cancro alla mammella è diagnosticare il tumore prima che abbia la possibilità di crescere, diffondersi o causare problemi. Occorre sottolineare che 9 donne su 10 con una mammografia non nella norma non hanno il cancro al seno, ma devono essere sottoposte a ulteriori indagini come un’altra mammografia a 6 mesi o altri esami di approfondimento, in base alla valutazione del medico senologo, come un’ecografia del seno specie se la mammografia mostra seni molto densi che possono rendere più difficile la lettura della mammografia. In caso di sospetto diagnostico, alla mammografia potrebbe seguire una biopsia durante la quale il medico preleva con un ago, durante un’ecografia, un campione di tessuto mammario per l’analisi delle cellule al fine di escludere la presenza di cellule tumorali. Con l’esito della biopsia e gli esami di screening effettuati, il senologo potrà quindi discutere di eventuali terapie necessarie o valutare la programmazione e la frequenza degli esami di screening successivi per monitorare eventuali anomalie e proseguire con le indagini di prevenzione precoce», sottolineano le due specialiste.