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Lo stress lavorativo colpisce il 60% oncologi Ue, 1 su 4 lascerebbe

Vivere ogni giorno a contatto con la malattia e la morte non è facile. Lo sanno bene gli oncologi, tra i quali il fenomeno del burnout sta crescendo, diventando una vera emergenza tanto che 1 su 4 valuterebbe anche di lasciare la professione. Il burnout è un insieme di sintomi che deriva da una condizione di stress cronico e persistente, associato al contesto lavorativo.

Lo dimostra una prima indagine della Società europea di oncologia medica (Esmo) condotta tra il 2013 e il 2014, che ha rivelato come il problema colpisca più di due terzi dei giovani oncologi in Europa. Ma che il burnout sia in aumento è confermato anche da tre indagini globali condotte nel corso della pandemia di Covid-19 che hanno ulteriormente evidenziato le difficoltà incontrate dagli oncologi nell’affrontare le crescenti pressioni nella loro vita professionale. Per questo L’Esmo, il cui congresso è in corso a Barcellona, chiede un’azione globale e concertata per prevenire il burnout e promuovere il benessere del personale oncologico.

    La Task Force sulla Resilienza dell’Esmo, in un documento appena pubblicato, indica in particolare 11 azioni per gestire i rischi psicosociali, ottimizzare il benessere e ridurre il burnout in oncologia. Le principali cause di burnout in questo settore includono l’affaticamento legato all’atteggiamento di compassione, l’esposizione ripetuta alla morte e al morire, l’aumento degli oneri amministrativi, i vincoli finanziari e l’equilibrio inadeguato tra lavoro e vita privata. Da qui le misure proposte da Esmo, che includono l’offerta di maggiore formazione e tutoraggio personalizzato per supportare i medici e ripristinare un senso di controllo sullo sviluppo della loro carriera; garantire carichi di lavoro gestibili e offrire condizioni di lavoro più flessibili, ma anche creare ambienti di lavoro più piacevoli con attrezzature adeguate e tempo e spazio per comunicare con i colleghi e ridurre l’isolamento. Inoltre, avverte l’Esmo, “in un contesto in cui il logoramento è elevato, con un oncologo su 4 che dichiara di valutare un cambiamento di carriera o un passaggio all’industria, anche gli investimenti nella fidelizzazione della forza lavoro e le strategie per attirare più personale sul campo sono essenziali per garantire la sostenibilità dei servizi oncologici”.
“Il burnout è una situazione in cui un professionista si sente sopraffatto dalle proprie responsabilità e non è più in grado di far fronte allo svolgimento delle proprie attività quotidiane, con possibili ricadute sulla condizione mentale e la salute come ansia, depressione o insonnia – afferma il presidente Esmo Andres Cervantes -. Non possiamo permetterci di perdere la nostra forza lavoro, quindi dobbiamo aumentare la consapevolezza e affrontare il burnout come il problema comune che è diventato”. Secondo il direttore delle politiche pubbliche dell’Esmo, Jean-Yves Blay, “non solo sta aumentando il carico di lavoro per i professionisti dell’oncologia, il cui numero è già insufficiente in tutto il mondo e che devono far fronte a un’incidenza annuale del cancro che, secondo le proiezioni, aumenterà del 75% tra il 2022 e il 2050, ma anche la pressione associata al lavoro sta crescendo; ciò anche a causa della rapida espansione del volume delle conoscenze nel campo”. E’ dunque necessario correre ai ripari: “L’incapacità di apportare i cambiamenti necessari – avverte Blay – causerebbe un deterioramento della qualità dell’assistenza in tutta Europa e, associato al crescente nomadismo medico – con i Paesi ad alto reddito che impoveriscono la forza lavoro medica dei Paesi a basso e medio reddito per cercare di soddisfare i propri bisogni ed esigenze di manodopera – tutto ciò porterebbe inevitabilmente ad un aumento delle disuguaglianze sanitarie”. Tutto ciò “potrebbe avere un impatto grave sulla qualità e sull’equità delle cure”. Queste, dunque, conclude, “non sono misure cosmetiche, ma misure fondamentali per il futuro della cura del cancro”.