Robert F. Kennedy Jr., il Segretario della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, dice che la genetica è sopravvalutata. E che l’autismo si può prevenire. Basta evitare muffe e additivi alimentari.
Kennedy ha commentato l’ultimo report del CDC: secondo i dati, un bambino su 31 di otto anni è oggi diagnosticato con autismo. Ma per lui la colpa è chiara: l’ambiente. “Non sono i geni a causare le epidemie”, ha detto, serio. “Ci vuole una tossina ambientale”. Il fatto che l’autismo non sia un’epidemia e nemmeno una malattia infettiva, pare irrilevante.
La comunità scientifica ha risposto con un mix di sconcerto e imbarazzo. Il New York Times ha sentito un po’ di esperti. Il dottor Eric Fombonne, esperto storico dell’autismo, ha definito l’uscita “ridicola”. Il professor Joshua Anbar ha ribadito che “non esistono misure preventive”, e che nessuna tossina – ambientale o retorica – può spiegare il fenomeno con la semplicità con cui Kennedy lo presenta.
Ma il ministro che dalla pandemia si è dimostrato una sorta di campo mondiale dei no-vax non demorde. Senza nominare esplicitamente i vaccini, ha comunque evocato lo spettro del “qualcosa” introdotto nell’ambiente nel 1989, anno che per lui segna l’inizio dell’”epidemia di autismo“. Peccato che i manuali diagnostici parlassero di autismo già dal 1980. E che Leo Kanner lo descrivesse nel 1943.
Il CDC, nel frattempo, parla di cause ben più complesse: diagnosi migliorate, definizioni più ampie, genitori più attenti e più anziani, accesso più facile ai servizi. Insomma, il solito insieme di fattori che richiede pazienza e metodo, non slogan. Kennedy, invece, promette risultati entro settembre.
La comunità scientifica, intanto, si domanda quanto tempo e risorse si dovranno ancora sprecare per rispondere a teorie infondate. Perché il rischio, dice il dottor David Mandell, è chiaro: “Siamo costretti a guardare nel posto sbagliato e a investire i nostri soldi nel posto sbagliato”.
