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C’è l’ok delle Regioni : ‘Con l’infermiere di famiglia si possono ridurre i ricoveri, ma evitiamo pasticci all’italiana’

Nessuno mette in dubbio che la gestione dell’infermiere di famiglia dovrà per forza di cose passare attraverso le Regioni, che in Italia si occupano di “far funzionare” la macchina sanitaria e soprattutto, nessuno di noi intende mettere in discussione le prerogative delle Regioni. Serve tuttavia una serie di norme di indirizzo di livello centrale, concrete e di coordinamento tra le varie realtà territoriali, per dare corpo ad una organizzazione uniforme e nazionale, e ben venga se tale attività di coordinamento fosse realizzata su iniziativa delle istanze rappresentative delle Regioni. Alla fine, il rischio da scongiurare è quello di creare 21 modelli di assistenza infermieristica di famiglia, rendendo vane le straordinarie potenzialità di una figura professionale che può e deve cambiare, perché ha le carte in regola per farlo, il futuro della sanità italiana.
Non si perda l’occasione di dare all’infermiere di famiglia un ruolo dignitoso e concreto la posizione contrattuale che gli spetta, la possibilità di esprimere sul campo le competenze per cui è stato voluto. Parliamo di un progetto che potrebbe essere davvero la leva fondamentale per un cambiamento radicale e positivo per il nostro sistema sanitario. Insomma, non riduciamo, solo per esempio, l’attività dell’infermiere di famiglia alla mera assistenza domiciliare, o peggio ancora non usiamolo come “tappabuchi” in quei territori dove magari ci sono carenze di personale nelle strutture sanitarie pubbliche. Le Regioni hanno gli strumenti per dimostrare che questa volta sono in grado di non ricadere negli errori del passato: ovvero confusione, disorganizzazione, approssimazione. L’infermiere di famiglia sia una volta per tutte quella figura al servizio del cittadino che al pari del medico di famiglia, in ogni territorio, potrà contribuire per esempio a ridurre le ospedalizzazioni, i ricoveri, le liste di attesa, fornendo un supporto straordinario per la società civile.

Insomma, qui non serve fare esercizio di stile, e questo vale per la Commissione Sanità ma anche per la FNOPI,  che se da un lato è vero che rappresenta interessi pubblicistici come ente sussidiario dello Stato, dall’altra non può non tener conto che la linfa vitale che sostiene il suo stesso essere ed operare è rappresentata proprio da quegli “infermieri di famiglia” che le regioni, ben liete di gestirne l’organizzazione, si starebbero apprestando a mandare “sul campo” senza nemmeno un contratto specifico ed autonomo.

Come possiamo essere ottimisti e fidarci così “alla cieca”? Alla fine stiamo parlando di quelle stesse Regioni che non sono state capaci di trovare un trend d’union sui premi agli infermieri impegnati nella lotta al Covid 19 e che fanno orecchie da mercante ogni volta che si tratta di aumentare in maniera fissa e definitiva i loro stipendi. Ecco, allora prima di plaudere a nome degli infermieri italiani al comportamento di queste istituzioni, io mi chiederei sempre cosa ne pensano gli interessati», chiosa De Palma.

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