di Silvia Mari

“Vedo mio figlio una volta alla settimana in modalità protetta e sono controllata come se fossi una criminale, ci sono state vietate foto e video. C’è, però, una cosa che mi fa ancora più rabbia: il decreto dice che devo vedere mio figlio almeno due volte alla settimana con possibilità di ampliare gli incontri. Purtroppo però da settembre, per univoca decisione dei servizi sociali, mi costringono a un solo incontro. Vani sono stati i tentativi di ripristino del numero degli incontri del diritto di visita che il mio avvocato ha più volte sollecitato, anche, non ultimo, in corso d’udienza al giudice. Sono mortificata come madre, donna e lavoratrice mentre a mio figlio gli viene negato il diritto di avere un rapporto stabile, sereno e continuativo con la madre. Un decreto che si basa su una perizia scritta da una ctu sostenitrice dell’alienazione parentale, che partecipa ai convegni dell’associazione padri separati del Veneto (quella dove è iscritto il padre di mio figlio) e che mi ha diagnosticato una patologia ‘impossibile’ da diagnosticare dopo 4 anni: la sindrome puerperale che esordisce, invece come si legge nelle linee guida sanitarie, nel post partum. Ho depositato la cartella clinica che smentisce tale falsa diagnosi, ma il giudice continua a non volerne sapere ed, anzi, in corso d’udienza con veemenza e tono minaccioso mi ha detto ‘signora non mi guardi con quegli occhi da matta’, che lei già ha quella perizia…..”.

Luca (nome di fantasia, ndr) ha solo 6 anni, “a marzo appena uscito il decreto l’hanno prelevato e portato subito dal padre”. A raccontare la storia alla Dire è la mamma, Luisa (nome di fantasia, ndr): “Il prelevamento c’è stato subito”.

Alla porta insieme al padre sono arrivati i carabinieri. Luisa non vuole traumatizzare il piccolo che come ogni volta in cui va dal padre ha il suo zainetto pronto, cerca di normalizzare; Luca non sa che questa volta non tornerà dalla mamma dopo il weekend.

La trama è la stessa: denunce archiviate, una violenza non indagata, in questo caso anche sul bambino, e una ctu che determina le sorti del procedimento civile sull’affido del bambino. La ctu molto coinvolta nelle attività delle associazioni dei padri separati, il Tribunale è quello di Padova e la giudice è quella del noto caso di Cittadella.

Luisa ha denunciato il padre di suo figlio e i nonni paterni ‘perché quando tornava dai pernotti presso il padre veniva a casa con dei lividi rotondi ed ecchimosi. Raccontava che veniva picchiato se chiedeva di tornare dalla mamma o per semplici capricci”. Ed è proprio qui, come spesso accade in queste storie fotocopia, che arriverà per questa mamma e per suo figlio il capovolgimento kafkiano della situazione. “Si attiva la Casa del bambino maltrattato di Padova- spiega Luisa- e Luca sarà valutato da una psicologa”.

Nel frattempo sull’affido del piccolo viene incaricata dal Tribunale di Padova una ctu, B.M, che la Dire ha incontrato in altre storie di madri accusate di alienazione parentale, una psicologa molto attiva e coinvolta nelle iniziative ed eventi delle associazioni dei padri separati. E’ un elemento di imparzialità per una figura che è consulente del giudice? E ancora una volta nella sua perizia come in tutte quelle di questa scuola i fatti ‘narrati’ non diventano oggetto di indagine, ma postulato della diagnosi di alienazione-manipolazione del genitore che denuncia. La perizia medica, anzi psicologica, in luogo dell’indagine.

E’ la prassi dell’alienazione parentale e dei suoi corollari. La psicologa del centro del bambino maltrattato decreterà che il piccolo Luca non ha subito abusi fisici, come denunciato da sua madre, ma “psicoemotivi dovuti alla conflittualità dei genitori e che avrebbe bisogno di uno psicologo dell’età evolutiva”, racconta mamma Luisa.

La ctu diagnosticherà a Luisa una “psicosi puerperale”, a distanza di anni dal parto, va ricordato: un altro modo, così pare, di identificare e descrivere una mamma accudente, definita da una certa scuola di psicologia forense alienante. Ma cosa dice Luca? I suoi vocali, fa sapere il legale, sono stati depositati e messi agli atti di curatrice e controparte. Luisa riferisce che “non andava volentieri dal padre, aveva ira, a Spiderman chiedeva ‘proteggimi’”.

Il copione è quello di sempre: i servizi sociali chiedono alla mamma di seguire un percorso al CSM, le consigliano una struttura, le vietano di fare domande a suo figlio, raccontano Luisa e i suoi legali, cosi anche su un ditino nero che il piccolo le mostra dolorante non può chiedere un accertamento diagnostico. ‘Mi hanno limitato la responsabilità genitoriale.

Sono stata addirittura rimproverata di registrare gli incontri e di fare le foto. Ho denunciato con gli audio di mio figlio che dice che lo menano, che lo sgridano, che il padre mi dice che sono matta e che devo ricoverarmi (cose dette da mio figlio direttamente ai servizi sociali) che la nonna lo insegue con il ferro da stiro ed ho depositato il tutto anche al giudice civile, ma nessun passo è stato fatto da chi dovrebbe farli’.

Luisa ha denunciato il padre del bambino, che ha lasciato quando il piccolo aveva 8 mesi, tutto refertato dall’ospedale e tutto finito in un’archiviazione. Anche lei è stata denunciata dall’uomo per sottrazione di minori e lesioni personali: “Ricevetti una manata e gli tirai un pugno e gli hanno dato 3 giorni di prognosi”. Negli incontri Luca “è molto affettuoso e fisico, mi bacia, a volte lo vedo assente, dice sempre che gli manca la mamma, chiede ‘quando torno dalla mamma’”, racconta Luisa che al momento si è vista togliere la responsabilità genitoriale mentre non risulta che ad oggi alcuno abbia indagato sui racconti del piccolo rispetto alle punizioni violente di nonni e padre e compagna del padre. Qualcuno ha fatto una perizia su queste persone? Tutta la famiglia materna è stata allontanata. E cosa emergeva dai test fatti sul padre? Con un tenore che sembra quasi empatico l’uomo viene compreso nell’immaturità di non aver compreso e accettato da principio la gravidanza e poi descritto come ‘mite e conformista, controllato, premuroso e messo in scacco’ dalla ex.

“Le maestre sentite dalla ctu hanno riferito di aver visto un bambino cambiato, dopo i pernotti con il padre, meno vivace, in sfida con l’adulto, che ha iniziato ad avere paura del buio”. Luca ha raccontato alla mamma di “esser stato chiuso in cameretta al buio con la porta chiusa e senza videochiamata alla mamma in quel primo pernotto. Quando tornò a casa vidi il pigiamino con odore di pipì, ma il padre negò tutto”, ricorda Luisa.

“Pensare- racconta questa mamma tornando al passato- che si diceva confuso e non voleva il bambino, alternava confusione e poi diceva ‘potrai venire a trovarlo quando vuoi”. Nella ctu non vi sarebbero documenti riferiti ad alcun test di valutazione scientifica riconosciuta in ambito sanitario per la sindrome riscontrata, neanche nella perizia della stessa ctu. E’ scritto invece che appena nato Luca, Luisa si ritrova sola e in un clima di vessazione: “Peccato che sei ancora cucita altrimenti ti stuprerei” le disse un giorno come la donna riferisce. Per questo come accade a tante altre mamme si rivolse al consultorio di zona e al centro antiviolenza. Non poteva immaginare cosa le sarebbe accaduto da quel giorno in poi.

La Dire sulla storia ha interpellato gli avvocati Alfredo Di Costanzo e Luciano Castaldi, esperti di diritto familiare e dei minori.

Per l’avvocato Di Costanzo “si è di fronte a un caso dove sono stati commessi tanti errori, dal non indagare sulle violenze denunciate all’aver diagnosticato inesistenti patologie di cui, tra l’altro, senza alcuna rilevanza medico-legale e con evidenti documenti medici (cartella clinica ad esempio) che smentiscono la diagnosi fatta nelle aule e non nelle opportune sedi cliniche. Al danno giudiziario si aggiunge la violenza di vedersi etichettare una patologia di cui non si è mai sofferto. Purtroppo la PAS non è mai morta nelle aule giudiziarie e spesso si continua a sentenziare sulla base di una teoria che non ha fondamento né medico né giuridico per diversi motivi, riconosciuti sia dalla comunità scientifica che dalle istituzioni giuridiche. Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’uso della PAS in procedimenti legali. La legge 269/1998 e altre normative vietano interpretazioni che possano minimizzare la violenza familiare, rischio spesso connesso all’uso della PAS in tribunale. La PAS è stata spesso usata per screditare le denunce di violenza domestica, portando alla riattribuzione dei minori a genitori violenti. In sintesi, la PAS non è una diagnosi medica riconosciuta e il suo utilizzo nei tribunali può portare a gravi errori giudiziari, compromettendo il benessere dei minori. A questi errori si somma il comportamento di chi dovrebbe tutelare i diritti del minore e della madre che non tengono conto né di quanto più volte detto dal piccolo né di quanto dichiarato da Luisa; all’ascolto e all’approfondimento si è preferito la difesa dello status creato da un provvedimento privo di valenza medico/legale. Leggo che la madre ha depositato audio, foto, chat e PEC che dimostrano la mala fede dei servizi sociali ma di fronte a queste prove addirittura le hanno sospeso la responsabilità genitoriale; incredibile”, commenta. “Emblematico, poi- aggiunge- è il comportamento di un giudice, la stessa del caso di Cittadella, che dice ad una parte di non guardarla con occhi da matta o che fa del razzismo giuridico, come se al Sud, dove sono nato, vigesse un diritto diverso da quello vigente nel resto d’Italia. Come avvocato ho fiducia nella giustizia e auguro a Luisa di veder finalmente rispettati i diritti suoi e del figlio anche con decisioni di altri giudici che vanno a correggere gli evidenti errori commessi da chi oggi si occupa del caso”.

Secondo l’avvocato Castaldi, il caso di Luisa ci restituisce ‘uno scenario deprimente della giustizia riferita al diritto di famiglia e ai minori in cui alcune figure processuali come il curatore speciale, corroborata dalla recente riforma Cartabia, viene assunta da professionisti che si limitano a fare i burocrati parlando attraverso gli atti ma senza occuparsi materialmente delle questioni ovvero dei minori. Tali professionisti andrebbero profondamente preparati prima della assunzione degli incarichi che si limitano ad assumere come se il tribunale fosse un ufficio di collocamento. Quella di Luisa e del piccolo Luca è il quadro di un processo di famiglia lontano anni luce dai canoni di efficienza ed efficacia tanto decantati dalla riforma Cartabia’, conclude.

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