“Il Cpr? A noi formalmente nessuno ci ha parlato del Cpr, diciamolo”. Ma siccome si insiste sul fatto che ogni regione deve ospitarne uno, Luca Zaia, presidente del Veneto, mette in chiaro un punto che sente ricorrere anche nelle questioni che gli pongono direttamente i cittadini. Dovunque sorgesse non è un posto da cui, chi ci finisce, entra ed esce a piacimento. Insomma, averlo come ‘vicino di casa’ non comporta un viavai di migranti, specifica parlando oggi con i giornalisti. “Mi rendo conto che le Forze dell’ordine avrebbero un punto di appoggio”, con l’apertura di un Cpr, “per personaggi che non possono circolare liberamente”, annota Zaia ma il suo pensiero è anche rivolto a come li ‘vive’ la cittadinanza. E quindi precisa: “Si sta parlando di una struttura da cui non si uscire, non è un centro di accoglienza da in cui si va dentro e fuori per andare in bici o a fare una passeggiata. Il Cpr ha le porte chiuse”.
Il Cpr non “serve a nulla per bloccare i flussi migratori”. Luca Zaia ribadisce il concetto ai cronisti a cui ricorda che quest’anno si conteranno 200.000 arrivi di migranti, un 8% avrà lo status di rifugiato, e un 30% altri livelli di protezione, “il che vuol dire che 140.000 dovranno tornare a casa” quando però in Italia il livello dei rimpatri “non supera le 3.700-4.000 persone all’anno”. Il Cpr in questo quadro si inserisce come “luogo di detenzione amministrativa per il rimpatrio” in cui si può stare fino a 18 mesi ed è quindi, dice il governatore del Veneto, una ‘risposta’ che “fa parte della filiera dell’immigrazione ma non serve per bloccare i flussi”, rimarca Zaia.