“Tante volte un ostacolo è solo un messaggio che la vita ti dà. Devi trovare un’altra strada, ma non vuol dire che non puoi arrivare a destinazione.”
Samantha Cristoforetti
Grande Astrosamantha, prima donna a guidare una stazione spaziale!
L’astronauta fin dall’inizio è stato considerato un lavoro più maschile, sapete quale (last but not least) problema tra tanti hanno dovuto affrontare le donne? Le taglie delle tute spaziali e le loro misure ‘imperfette’.
La cancellazione della prima spedizione spaziale tutta al femminile (EVA) è stata dovuta alla non immediata disponibilità di due busti di tute spaziali di taglia medium. Al tempo la cosa ha sollevato un polverone di commenti e sarcasmo (come vedete parlare di look non sempre è banale come può sembrare): possibile che l’agenzia spaziale americana riesca a vestire due uomini per una attività extraveicolare, ma non due donne?
Le tute per gli astronauti del programma Apollo furono cucite, su misura, dalle sarte e dalle artigiane della International Latex Corporation (la stessa che fabbricava i reggiseni della Playtex ve lo ricordate?). Formato da un piccolo gruppo di sarte e ingegneri, guidato da un meccanico di automobili e da un ex riparatore televisivo, il progetto Playtex sembrava quasi uno scherzo di cattivo gusto.
Quando però la Nasa dovette concentrarsi sulla fase successiva dell’esplorazione spaziale, quella del programma Space Shuttle, si optò per un approccio più easy. Con un taxi spaziale a disposizione per i viaggi nello Spazio “vicino”, era impensabile contare su tute personalizzate. Decisero di lavorare in serie, modello Zara, realizzando pezzi singoli per braccia, gambe e busti che si potessero mischiare a piacimento. Le extravehicular mobility units (EMU) furono prodotte in cinque taglie: extra small, small, medium, large, extra large.
Gli ingegneri dell’epoca, che forse passavano più tempo a pensare al lavoro che alle questioni di cuore, pensarono che le donne potessero indossare le stesse tute degli uomini – al massimo nelle misure più piccole. Ma, e qua mi chiedo che problemi personali avessero anche se posso immaginarli, non tennero conto delle differenze nella forma del corpo: a parità di altezza e peso, le donne possono avere fianchi più larghi e spalle più strette, e se una parte di tuta deve coprire fianchi e spalle, è possibile che una donna astronauta debba accontentarsi di un compromesso.
Lo sa bene Peggy Whitson, astronauta della NASA che detiene il record di attività extraveicolari al femminile: 10, in 665 giorni nello Spazio (è l’americana che ha trascorso più tempo in orbita). «Per una donna, compiere passeggiate spaziali è più complicato, soprattutto perché le tute sono di taglie più grandi rispetto alla taglia di una donna media», ha raccontato in un’intervista. Vi rendete conto??? Non stiamo parlando di due passi nella Fifth Avenue (dove probabilmente in effetti i look femminili sono più costosi e ricercati di quelli per le moonwalk!)
Tasche ristrette, guardaroba ristretto: negli anni ’90, la riduzione del budget della Nasa portò alle prime rinunce nella produzione di tute: la extra small fu la prima taglia a essere eliminata, e poco dopo fu archiviata anche la small. La maggior parte dei fisici rientrava nelle M e nelle L: ci si sarebbe concentrati su quelle. (altro che haute couture)
La taglia degli astronauti arrivò ad influire sulla possibilità di essere selezionati (peggio di una modella per una sfilata): «Chi faceva domanda doveva essere più grosso, per essere scelto», racconta Bonnie Dunbar, ex astronauta della Nasa, cinque volte sullo Shuttle.
Una situazione simile, ma “al contrario”, si era verificata negli anni ’60, quando le ridotte dimensioni delle capsule del programma Apollo imponevano la scelta di astronauti non più alti di 1,80 m. In quel caso problema forse più capibile…
Spero, come minimo, che la tuta spaziale di Astrosamantha sia stata confezionata apposta sulle sue misure ma, anche non fosse, la donna è talmente tosta che nulla la ferma!
Ps Un’ultima curiosità!
Vi ricordate che le prime tute spaziali erano argentate? Glia astronauti sembravano alimenti avvolti nel domopack pronti per essere riposti nel frigorifero?
Ma non pensiate che tutto quell’argento avesse uno scopo funzionale, come riflettere i raggi del sole e ridurre il calore di chi li indossava; infatti, il bianco è il miglior colore per questa funzione.
La verità è che quella era strategia di marketing: a quel tempo, gli oggetti colorati d’argento erano sinonimo di “futuro”. Quindi, coprire le tute di argento ha aiutato le persone a pensare che questi equipaggiamenti fossero ancora più avanzati di quello che già erano in realtà.
Come dire…è sempre una questione di look
Kiss Mrs Fork