di Fabrizio Carta
Ben 600.000 pensionati, per riparare agli errori commessi dall’Inps sulla certificazione unica spedita a marzo, dovranno rinunciare a qualche regalo di Natale per pagarsi una nuova dichiarazione dei redditi, nuovi modelli ISEE, e versare nuove imposte, interessi e sanzioni.
«Le somme certificate non corrispondono a quelle effettivamente erogate o trattenute nel 2019», questo è il sunto delle asettiche comunicazioni che l’inps sta facendo pervenire in questi giorni a pensionati, disoccupati e dipendenti in cassa integrazione, che nel 2019 avevano percepito somme dall’ente.
Il postino suona alle porte dei poveri malcapitati e come un amico di Maria De Filippi qualunque consegna la lettera del ‘Grinchps’, che con queste laconiche parole comunica lo sbaglio nella Certificazione Unica di marzo, già riportata in tutti i modelli dichiarativi elaborati e presentati.
Ma che conseguenze ha l’errore? Innanzitutto, bisognerà pagare un professionista per rifare la dichiarazione. L’abbaglio preso dall’inps nella predisposizione della vecchia CU si traduce inevitabilmente nel dovere per il contribuente di ripresentare l’intera dichiarazione dei redditi, apportando le necessarie modifiche, pena il vedersi pervenire nei prossimi anni un bell’avviso di accertamento da parte dell’agenzia delle entrate, per richiedere eventuali maggiori redditi o correggere le difformità.
Per correggere la propria dichiarazione, quindi, tutti i destinatari delle CU sbagliate dovranno ritornare dal proprio commercialista per fare una dichiarazione dei redditi integrativa. Si potrà provvedere entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. In questo caso se dall’integrazione emerge un importo a debito, bisognerà riversare il tributo dovuto, gli interessi calcolati al tasso legale con maturazione giornaliera e le sanzioni in misura ridotta previste in materia di ravvedimento operoso.
Per chi vuole prendersi del tempo, gli anni non saranno comunque mai cinque. Fa prima ad arrivare l’avviso bonario dell’agenzia delle entrate o, come oramai avviene regolarmente per le difformità tra CU e dichiarazione, la lettera di compliance dell’ufficio, dove si invita il contribuente a modificare la propria dichiarazione dei redditi versando il 15% di sanzioni.
Nei casi ove non si provveda, entro i termini decadenziali di cinque anni ci si vedrà recapitare a casa un vero e proprio avviso di accertamento, dove, se si paga subito, le sanzioni verranno ridotte al 30% in luogo del 90% previsto dalla norma.
Nemmeno chi superdigitalizzatamente ha fatto ricorso alle armi più tecnologiche del fisco, scaricando il proprio 730 o modello unico precompilato dal sito delle Entrate ed attenendosi fedelmente a quanto comunicato dall’ente, ebbene, anche lui adesso dovrà ripresentare ed integrare con i nuovi dati la propria dichiarazione, con annesse e connesse sanzioni, interessi e maggiori imposte.
Come è ovvio che sia, tutte le associazioni sindacali e di categoria si sono mosse a difesa delle categorie interessate, le più deboli del nostro tessuto sociale, e sono fioccati i comunicati stampa di protesta per le rimostranze contro l’operato di Grinchps, che per tutta risposta ha tenuto ad affermare con una breve nota che si tratta di ordinaria amministrazione e che le correzioni sono “solamente” (!) 600.000.
Grinchps, dal canto suo, non prova nemmeno a fare ammenda de propri errori, ad esempio richiedendo una moratoria sulle sanzioni per le proprie “vittime”, visto che fino a prova contraria è un ente pubblico e che a nostra memoria vigono il principio di affidamento del cittadino nelle istituzioni e il principio della buona fede, che – ex lege – dovrebbero azzerarle.
In questo momento l’argomento principe che imperversa tra i nostri politici è “zampone si, zampone no”, e se possiamo mangiarlo coi nonni, mentre dall’inps riceviamo solo un asettico “ci scusiamo per l’eventuale disagio”. No, perché per il Grinchps tirare fuori i soldi il disagio è solo “eventuale”! Tutto molto Tridico-lo.
Come ha dichiarato il Presidente Anc Marco Cuchel, “come professionisti, paghiamo sempre per gli eventuali errori che commettiamo (…)” e la Pubblica Amministrazione “ha il dovere di trovare un’altra strada per riparare alle proprie sviste.”.
Certo che nell’era del fisco fai da te, della dichiarazione precompilata, del “basta un click” (o cric?), è tutto molto inquietante. “A cosa dobbiamo ancora assistere prima che i vertici Inps si decidano a prendere atto della serie di débacles di cui hanno dato prova e a fare un passo indietro di fronte alla propria inadeguatezza?”
Ad maiora!