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Tre miliardi e mezzo dalle banche per la Manovra 2023: ma siamo sicuri che siano soldi veri?

Abbiamo avuto più coraggio della sinistra!”, dice la premier Giorgia Meloni ribattendo al leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni. “Al collega Fratoianni, che parlava di banche ed extraprofitti, dico che vedremo con la legge di bilancio. Potrebbe scoprire che questo governo ha avuto più coraggio di quello che ha avuto la sinistra quando era al governo“.

A fare da eco alla Meloni nazionale, arrivano subito di rimbalzo l’immancabile leader della Lega Matteo Salvini, che addirittura grida ai quattro venti, raggiante di felicità: “Vittoria Lega! Previsti 3,5 miliardi da banche ed assicurazioni da investire in sanità!”.

Gli annunci sono di quelli che fanno rumore.

Il Ministro Giancarlo Giorgetti non smentisce, e dopo il Consiglio dei ministri di martedì 15 ottobre dichiara che “tra le altre coperture rilevanti, ci sono contributi del settore bancario e assicurativo“. Addirittura, intervistato sull’argomento, ha tenuto a chiarire che “i sacrifici li fanno le banche, le assicurazioni e le strutture dei ministeri, chiamate a un importante contributo in termini di taglio“.

A smorzare gli entusiasmi ci ha pensato però il vicepremier di Forza Italia Antonio Tajani. “Non ci sarà nessuna tassa, gli extraprofitti non esistono, è un concetto demagogico, che piace ai regimi dittatoriali, può piacere a Maduro o all’Unione sovietica. Ci sarà un accordo con gli istituti di credito per trovare una soluzione che permetta di avere liquidità allo Stato, ma non è una tassa ma il frutto di un accordo, una cosa concordata “.

Bene. Ma allora di cosa si tratta? Sono soldi veri o stiamo giocando a monopoli? Sono tasse o passerà Babbo Natale?

Analizzando l’accordo tra gli esponenti dell’Abi, l’Associazione Bancaria Italiana, e quelli del Ministero dell’Economia, di fatto ci sarà un esborso delle banche, stimato tra i tre ed i quattro miliardi di euro, che darà sicuramente respiro alla manovra, ma di certo non si tratta di un’imposta nuova.

Il contributo delle banche, infatti, si riduce ad un giochino fiscale, ovvero un anticipo delle cosiddette imposte differite attive (DTA), che produrrà un anticipo di cassa.

In pratica, le banche pagheranno un po’ di tasse in più nei prossimi due anni, rinviando le deduzioni su svalutazione dei crediti, avviamenti, svalutazioni, e stock option, rinviandole di due annualità, e procurando così allo Stato un maggior gettito di circa tre miliardi e mezzo in due anni, 1,75 miliardi all’anno.

Non è un’imposta, ma non è neanche un prestito, ma – come abbiamo detto – può essere considerato un anticipo di cassa che nei prossimi due anni farà arrivare qualche soldo in più nelle casse dello Stato, ma ciò non toglie che tra tre anni le deduzioni riemergeranno nei bilanci delle banche, producendo i loro effetti in termini di entrate per lo Stato.

Quindi alla fine: i soldi arriveranno, ma saranno solo un anticipo, perché ne arriveranno di meno, ma nei prossimi anni (ecchissene!, penserà la Meloni, risolverà il problema chi ci sarà tra due anni), le banche, che grazie al 110 e all’impennata dei pagamenti elettronici sono per il momento sommersi dalla liquidità, faranno uno sforzo, ma sicuramente non gli verrà il mal di schiena, l’opposizione può continuare a dormire sonni tranquilli, come sta facendo oggi di fronte a un Governo che sta riformando tutto, Giorgetti per un attimo può rifiatare e ripensare alle sue idee su diesel e benzina, Tajani può continuare a chiedere l’aumento delle pensioni minime, magari quando ci andremo noi, in pensione otterrà un poderoso aumento di una carta da dieci euro al mese. Se ancora esisteranno le pensioni.

E come sempre, hanno tutti ragione!

Ad maiora!

Fabrizio Carta