A cura di La Presse
“Contratto di collaborazione in libera professione, con compenso di euro 800 circa per turno con contratto con partita Iva per uno stipendio di €800 – €900 al giorno. Orario: festivo, diurno e notturno“. È solo uno dei molti annunci di lavoro per ‘medici a gettone‘ presenti sul web. Su un altro sito internet si legge: “si selezionano medici di Pronto Soccorso, medici specialisti in: Pediatria, Ostetricia e Ginecologia, Anestesia e Rianimazione, Radiologia e Psichiatria, nonché medici per servizi di Guardia interdivisionale area medica e chirurgica, in regime di libera professione, per incarichi nelle regioni: Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche. Stipendio: 1.000 euro al giorno. Benefit: orario flessibile, spese di alloggio. Esperienza richiesta: medico specialista 1 anno”. Lavorare come gettonisti “conviene al medico che fa qualche turno sporadico, non vuole essere integrato e vuole tempo a disposizione e guadagnare di più, ma non conviene ai pazienti“. Lo dice a LaPresse Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale Anaao Assomed. “Chi si reca al pronto soccorso la maggior parte delle volte si ritrova di fronte a una cura della persona che non corrisponde alla specializzazione e al percorso professionale scelto. La convenienza non è professionale e di qualità di salute ma è esclusivamente economici e di tempo di vita del professionista”, ha spiegato Di Silverio.
Tra i medici a gettone molti neolaureati
È una popolazione molto variegata quella dei medici gettonisti che popolano i pronto soccorsi. “Le cooperative non effettuano alcuna selezione a monte“, spiega ancora Di Silverio. “Ci sono quelli che non sono specializzati, coloro che sono specializzati in altre branche e molti neolaureati. Si pone il problema della formazione di questi medici, anche dal punto di vista di erogazioni di cure e di responsabilità. Molte volte questi medici non sono specialisti di medicina d’urgenza”. Uno scenario da brividi per i pazienti. E il futuro non sembra roseo per il Servizio Sanitario nazionale. “Da una parte – spiega Di Silverio – ci sono i tetti di spesa alle assunzioni e dall’altra la mancanza di attrattività della professione che rende impossibile altre soluzioni. Siamo in una condizione professionale disastrosa”. ha spiegato. Nella Sanità il lavoro si ormai destrutturato. Siamo arrivati a un punto di non ritorno, è necessario riorganizzare completamente il sistema. Ancora una volta quest’anno più del 50% delle borse di specializzazione sono andate deserte”, ha concluso Di Silverio.
Nei pronto soccorso la metà dei medici è a gettone
Insomma, i gettonisti sono sempre di più: un vero e proprio esercito, e sono loro che garantiscono la tenuta dei Pronto soccorso e della medicina d’urgenza. È difficile quantificare il fenomeno “perché le aziende non hanno interesse a pubblicare i dati ma considerando che almeno il 50-60% dei turni del pronto soccorso non è coperto” è evidente che “seppure siano presenti a macchia di leopardo, è lo strumento attraverso il quale i reparti di urgenza evitano di chiudere“, spiega Di Silverio, “senza di loro i servizi o chiudono o diminuiscono”. Ma quanti medici ‘gettonisti’ sono impiegati nei Pronto soccorso? Secondo quanto dice a LaPresse Fabio De Iaco, Presidente Simeu – Società Italiana di Medicina d’Emergenza e Urgenza “la portata del fenomeno varia da regione e regione, in Piemonte il 65-70% dei pronto soccorsi è gestito da cooperative, il dato è addirittura più alto in Veneto”. De Iaco assicura che tra loro “ci sono dei professionisti bravissimi, alcuni hanno deciso per scelta di lavorare con le cooperative- spiega sottolineando come “la loro provenienza è la più varia, la più incontrollata e la più improbabile. Andiamo da persone neolaureate che non hanno alcuna esperienza fino a pensionati che magari si rimettono in gioco“. Se una stretta alle cooperative sembra essere nell’agenda del governo è pur vero che “bisogna dare una alternativa. La situazione nei Pronto Soccorso non è cambiata ma c’è un peggioramento graduale continuo ma così il rischio di smontare il modello della medicina di urgenza è altissimo, perché sembra che non serva uno specialista che si occupi dell’emergenza.- spiega ancora De Iaco- Noi continuiamo a ripetere che vorremmo una nuova regolamentazione sulle scuole di specializzazione, in maniera da poter avere gli specializzandi accanto a noi”. I medici a ‘gettone’ aumentano perché “economicamente sicuramente conviene, ormai la retribuzione l’ora supera abbondantemente i 100 euro ma lavorare con le cooperative consente di fare una programmazione della propria vita particolarmente agevole, perché lavori solo quando vuoi, dando le tue disponibilità potendo decidere di lavorare anche solo sei giorni al mese. Chi invece lavora con il Ssn lavora tutto il mese, senza fermarsi mai”.
Medico gettonista: “Ho mollato il Ssn, ora mi sento libero”
“Io guadagno più di un medico che lavora nel Ssn semplicemente perché lavoro di più. Però rispetto a un dipendente mi mancano alcune tutele, come le malattie, gli infortuni, le ferie. Poi devo pagarmi l’assicurazione. Inoltre l’importo è lordo, la tassazione è più del 50%. Quindi su 100 mi rimane 45″. Lo dice a LaPresse Giovanni Sella, un medico gettonista che prima lavorava nel Servizio Sanitario Nazionale, come spiega lui stesso: “Ho lavorato 10 anni in pronto soccorso, poi per gli enormi carichi di lavoro mi sono licenziato perché non ce la facevo più. Poi sono diventato medico di famiglia. Ho resistito circa due anni ma non mi piaceva e mi sono licenziato. Sono tornato a fare emergenza, ma da ‘gettonista’”. Sella spiega che “un medico a gettone può guadagnare dai 60 ai 100 euro l’ora. So di posti dove pagavano anche 110 euro l’ora, per turni di 12 ore”. Ora riesce a gestirsi al meglio la propria vita, “mi sento libero. Riesco a fare parecchie ore, organizzandomi ovviamente. Ho ho scelto di organizzare la mia vita anche perché seguo alcuni eventi sportivi, soprattutto nel periodo primavera- estate, dal ciclismo e soprattutto auto e moto, come supporto medico. Lavorare da ‘gettonista’ mi permette di seguire questa mia passione“. “Lavoro per la Romagna, dove ho un contratto di convenzione. Poi sono stato nelle Marche, in provincia di Rovigo e nel Bellunese”. Per quanto riguarda le cooperative che offrono questo tipo di servizi “inizialmente nel periodo del Covid c’è stata una corsa per coprire i turni con le cooperative, che arruolavano continuamente medici , e sul territorio nazionale causa carenza di medici si sono abbassati i requisiti per lavorare in emergenza“, spiega ancora Sella evidenziando come “fino a qualche anno fa erano il possesso della specialità in medicina d’urgenza o affini , oppure il corso MET , acronimo che sta per medico di emergenza territoriale. Alcune aziende hanno assunto direttamente medici a gettone al fine di avere un costo leggermente inferiore. Posso dire che in questi ultimi anni la presenza dei medici a gettone è stata comunque fondamentale per garantire molti servizi Sanitari, principalmente nei reparti di emergenza”.
Quattro medici su 10 pronti a lasciare il posto fisso
Quanti sono i medici pronti a lasciare il posto fisso in ospedale per lavorare come gettonisti? Circa 4 su 10. È il risultato emerso dall’ultimo sondaggio flash proposto dalla Federazione Cimo-Fesmed ad un campione di 1.000 medici: di questi, il 37,6% ha dichiarato di essere pronto a dimettersi da dipendente del Servizio Sanitario nazionale per lavorare con una cooperativa. Percentuali che risultano maggiori tra i camici bianchi più giovani (è disposto a lavorare per le coop il 50% di chi ha meno di 35 anni ed il 45% dei dottori tra i 36 ed i 45 anni) e che comprensibilmente si riducono tra i medici più anziani, più vicini alla pensione: “solo” il 28% degli over 55 infatti preferirebbe lavorare a gettone. Interessanti anche le differenze registrate sulla base dei reparti di appartenenza: a sorpresa, i più desiderosi di fuggire verso le cooperative sono i medici che lavorano nell’area dei servizi (che rappresentano il 46% di coloro che dichiarano di voler lavorare come gettonisti), seguiti da chi lavora in emergenza (42%), dai chirurghi (40%) e, infine, dall’area medica (32%).
Dal medico al farmacista, il boom delle cooperative
Sono sempre di più i medici a ‘gettone’ che lavorano nei pronto soccorso, come sempre di più sono i servizi che in Italia vengono appaltati alle cooperative, non solo dal servizio Sanitario nazionale. Non è facile stabilire quale sia la portata del fenomeno ma – secondo il dato fornito a LaPresse dall’Area Studi di Fondosviluppo-Confcooperative- ad oggi le cooperative attive nella filiera della salute sono circa 16mila, e danno lavoro a circa 492 mila persone, in prevalenza donne. Il contributo occupazionale raggiunge quasi il 40% del totale dell’occupazione privata della filiera. Le cooperative erogano servizi socio Sanitari e di welfare a oltre 7 milioni di persone. “Le cooperative della filiera della salute operano prevalentemente nel settore dell’assistenza sociale e dei servizi alla persona, in particolare nei servizi socio Sanitari (anche ad alta specializzazione Sanitaria), assistenziali, educativi e di inserimento lavorativo di persone svantaggiate (39mila gli svantaggiati ufficiali a cui si aggiungono 18 mila disabili e oltre 21mila soggetti con altre gravi situazioni di disagio)”- si legge nella ricerca – “Vi sono poi le cooperative tra medici, legate prevalentemente alla diffusione delle diverse forme di medicina associata, e le cooperative farmaceutiche, attive nella distribuzione intermedia dei prodotti farmaceutici e parafarmaceutici e, in taluni casi, attive anche nella gestione diretta delle farmacie (in quest’ultimo settore sono altresì presenti le cooperative di consumo e quelle tra dettaglianti). In questo modello di nuovo Welfare multiprofessionale e integrato, che coniuga la gestione dei processi assistenziali in logica di continuità, trovano spazio anche le mutue (Sanitarie) con oltre 450mila soci”.