I prezzi della benzina volano alle stelle. La guerra Russia-Ucraina ha accelerato la tendenza al rialzo in corso ormai da mesi, facendo schizzare la verde al servito abbondantemente sopra i 2 euro, con punte di 2,111 euro al litro. E secondo le rilevazioni di Quotidiano energia, ad avvicinarsi alla stessa soglia è anche il diesel che, sempre al servito, vola fino a 1,974 euro. I listini sono il riflesso degli aumenti dei prodotti raffinati nel Mediterraneo su cui impattano a loro volta le fiammate del prezzo del petrolio. Dopo la decisione dell’Opec+ di lasciare invariati gli aumenti di produzione previsti, come se nulla stesse accadendo sui mercati internazionali, il Brent è arrivato fino a sfiorare 120 dollari, un livello che non si vedeva dal 2012. A preoccupare ancora di più è però il gas: sui mercati telematici ad Amsterdam, il prezzo di riferimento della materia prima in Europa ha raggiunto nei primi scambi il record storico di 200 euro al Megawattora (esattamente 199,99 euro), con un’impennata del 19% rispetto al giorno prima. Con il passare delle ore, le quotazioni si sono raffreddate, ma il mercato è rimasto altamente volatile, rivolto soprattutto all’andamento delle trattative al tavolo tra i delegati di Mosca e Kiev.

Ora i timori sono tutti rivolti all’impatto su famiglie e imprese. Il caro-pieno pesa direttamente sulle tasche di chi usa l’auto per spostarsi, ma indirettamente anche sulla spesa quotidiana che ogni giorno viaggia su gomma per essere distribuita in tutta Italia. E il problema bollette, che sembrava aver trovato un argine con gli interventi del governo per il secondo trimestre contenuti nell’ultimo decreto ad hoc, rischia di riproporsi ancora con estrema urgenza. In caso di un aggravamento del conflitto, con l’eventuale interruzione delle forniture di gas dalla Russia, Confcommercio calcola per le imprese del terziario una spesa energetica di quasi 30 miliardi di euro nel 2022, con un incremento di oltre il 160% rispetto al 2021.

Emergenza anche per il grano

E poi c’è il problema delle materie prime alimentari. Il conflitto, ricorda l’Ismea, si è infatti inserito in un contesto già di tensione sui mercati dei cereali, come non si vedeva dalla crisi dei prezzi del 2007-2008. Per il grano duro è stato il crollo del 60% dei raccolti in Canada a innescare i rialzi, ai quali si sono aggiunti quelli del grano tenero tradizionalmente prodotto in Russia e Ucraina (anche se meno utilizzato in Italia). L’Ismea ha quindi fatto i calcoli: il mais è passato da 170 a 287 euro a tonnellata, il grano duro da 280 a 522 euro a tonnellata, il grano tenero da 186 a 307 euro a tonnellata. La previsione è che per buona parte del 2022 i listini si mantengano ancora su livelli alti, a danno innanzitutto delle imprese del settore. «Non li contiamo più gli aumenti del grano, sono qualcosa che in 50 anni di lavoro non ho mai visto accadere qualcosa del genere, neanche dopo la seconda guerra mondiale. – commenta Carmine Caputo, Presidente Mulino Caputo. Il rischio, spiega, è che finiscano le scorte di grano tenero «fra un mese o anche prima».

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