Qualche negoziante teneva per scherzo, accanto al registratore di cassa, un cartello “Abbiamo fiducia in Dio, tutti gli altri paghino in contanti”. Bisognava portare con sé quei pezzi di carta quando si andava a fare la spesa, ma quando io avevo nove o dieci anni quasi tutti usavano le carte di credito. Sembrava un sistema primitivo, totemico anche, come servirsi di conchiglie di cipree. Io stessa devo averlo usato per un po’, prima che tutto finisse alla Compubank.

È questo uno dei passaggi chiave de Il racconto dell’ancella, di Margaret Atwood, un romanzo ambientato in un futuro prossimo, dominato da una teocrazia totalitaria che priva le donne di qualsiasi potere. E sapete come hanno fatto? Provate a indovinare.

È così che sono stati in grado di fare tutto in una sola volta, senza che nessuno lo sapesse in anticipo. Se ci fosse stato ancora del denaro liquido, avrebbero incontrato maggiori difficoltà.

Semplicemente hanno staccato la carta di credito alle donne, privandole della capacità di spendere ed azzerando di fatto in questo modo ogni loro libertà.

La mattina dopo, mentre andavo in biblioteca a lavoro ero entrata nello stesso negozio per comprare un altro pacchetto di sigarette. Tamburellavo con le dita sul banco, non vedevo l’ora di accendermi una sigaretta. “Mi dispiace, questo numero non è valido”. “è ridicolo – avevo protestato – ho avuto l’estratto conto due giorni fa, è tutto regolare. Provi di nuovo.”. “Le donne non possono più possedere niente, è una nuova legge.”.

Così, senza nemmeno più un soldo per le sigarette, inizia la storia dell’ancella, capolavoro della letteratura distopica, che i più conoscono grazie al grande successo nell’omonima serie televisiva, o i più attempati per il successo che ebbe nel 1990 l’omonimo film diretto da Volker Schlöndorff.

Pare che noi, invece, finalmente si stia uscendo dal tremendo incubo distopico del cashless, ovvero di un’economia senza denaro contante (anche se mi sa che di questo passo faremo prima a rimanere “senza denaro” per le bollette).

Ma eliminare il contante è il modo giusto per combattere l’evasione? E soprattutto, conviene fare la rivoluzione dei pagamenti alle imprese e alle famiglie, o rappresenta un ulteriore costo? Che effetti ha sulla competitività delle imprese?

Lo scopo dichiarato dell’obiettivo di ridurre l’uso del contante a favore dell’utilizzo della moneta elettronica è quello intramontabile della lotta all’evasione, sempre di moda “fin dai tempi antichi”, come si scriveva nei temi delle medie.

Pare tuttavia che la Banca Centrale Europea non sia mai stata molto d’accordo con questo adagio sostenuto da sempre da molti politici italiani, poi diventato cavallo di battaglia del Governo giallorosso guidato da Giuseppi Conte.

Come ebbe modo di scrivere Yves Mersch, membro del Comitato esecutivo della Bce ed autore della lettera inviata all’allora ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, a seguito dell’emanazione del Decreto che abbassava la soglia per i pagamenti in contanti a 2 mila a partire dal 1° luglio 2020, limitare l’uso del contante per contrastare il riciclaggio dei capitali sporchi e il finanziamento del terrorismo va bene, ma solo per pagamenti pari o superiori a diecimila euro.

Altrettanto invece non si può dire quando si riduca tale importo a mille euro per combattere l’evasione fiscale, in quanto, come scrive la Banca Centrale Europea: «La dichiarata finalità pubblica della lotta all’evasione fiscale è tutta da dimostrare».

Per la Bce, infatti, si tratterebbe di una tesi priva di riscontri, tanto che la lettera afferma: «Si dovrebbe dimostrare chiaramente che tali limitazioni permettano, di fatto, di conseguire la dichiarata finalità pubblica della lotta all’evasione».

L’uso del contante, come sostiene la stessa lettera, in quanto moneta legale, deve essere consentito sempre e comunque a qualsiasi gruppo sociale, senza dover pagare commissioni.

Inoltre «i pagamenti in contanti non richiedono un’infrastruttura tecnica funzionale con i relativi investimenti, e sono sempre disponibili; ciò riveste particolare importanza in caso di indisponibilità dei pagamenti elettronici» (e questo sarebbe tornato molto utile alla nostra ancella).

Per gli strumenti di pagamento elettronici offerti dalle banche commerciali, invece, come bonifici, assegni e carte, si deve pagare una commissione, che diventa un costo per le famiglie e le imprese, e un utile (rectius, un ulteriore favore) per le banche.

Spesse volte si dimentica inoltre che la commissione sui pagamenti elettronici viene calcolata sul prezzo finale di vendita, ma la parte di quel prezzo di vendita che va all’esercente non è certo l’intero, ma il Prezzo meno il costo di vendita, per cui, quando volete pagare un caffè con il POS, sappiate che l’esercente non viene inciso per lo zerovirgola per cento, ma sulla sua fetta spesso troppo sottile di utile, arrivando in questo modo a rimetterci diversi punti percentuale di guadagno, che così va alle banche.

Il tetto delle diecimila euro indicato dal Governo attuale, poi, non è un numero citato a caso, ma si tratta degli importi che secondo una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio Ue «espongono al pericolo del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo».

E infine, che impatti ha il contante sulla competitività dei Paesi?

Per rispondere a questa domanda basta farsi un giro per l’Europa: in Germania, Lussemburgo, Olanda, Austria, Cipro non ci sono limiti. Poi, vai a vedere in fondo, dove ci sono le massime restrizioni, e fanalino di coda ci trovi la Grecia, con 500 euro.

“E fu allora che venne colto da un leggerissimo sospetto…”.

Ad maiora!

Fabrizio Carta

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia