di Fabrizio Carta
La scorsa notte, dopo una lunga gestazione, ha visto la luce il tanto atteso decreto aprile, poi diventato maggio ed infine rilancio, un rilancio talmente lungo che stava quasi per traghettarci a giugno, lungo ma talmente lungo che la Gazzetta Ufficiale straordinaria, uscita alle 3 del 20 maggio è stata datata 19, manco l’avesse pubblicata H.G. Wells.
Il 26 aprile, nella solita televendita ministeriale, ci è stato annunciato in pompa magna che il Governo stava lavorando ad un nuovo decreto che avrebbe messo in campo ulteriori 55 miliardi per il sostegno a famiglie, lavoratori e imprese, soldi che uniti a quelli delle dirette facebook precedenti e delle apparizioni da Barbara D’Urso, facevano arrivare il tutto ad 850 miliardi circa, roba da far arrossire la stessa Unione Europea, che di miliardi in campo ne ha messi appena 500.
In considerazione dell’emergenza e delle ragioni stesse di necessità ed urgenza che stanno dietro all’emissione di un Decreto Legge, logica vuole che le disposizioni siano di facile e rapida applicazione. Lo stesso ministro dell’economia Gualtieri, mantenendo la solita linea sensazionalistica, annuncia con un tweet che le risorse sono immediatamente disponibili, dandosi tempo di appena tre giorni; in tema di miracoli, avrà pensato al più noto nazareno.
Bellissime teorie, che presto svaniscono passando alla sostanza. Ci troviamo infatti di fronte ad un documento-monster di circa 300 pagine e 266 articoli, accompagnato da altre 200 pagine circa di relazione illustrativa. Inoltre, questo informe coacervo di norme avrà bisogno di ben 98 decreti attuativi per rendere applicabili le disposizioni recate.
I principali contenuti di sostegno alle imprese, come sempre, si dimostrano incoerenti e lontanissimi dalla realtà, assolutamente inadatti a soddisfare i reali bisogni degli imprenditori.
La lettura del decreto lascia come sempre il retrogusto amaro della propaganda sensazionalistica ma priva di sostanza, di un malcelato astio verso l’imprenditore, considerato “ricco ed evasore”, accompagnato da un paterno favore verso chi non fa e chi non lavora, spesso poi il vero evasore, che viene coccolato e mantenuto con sussidi a pioggia.
Innanzitutto, come nelle migliori tradizioni dei derby scapoli contro ammogliati, un altro rinvio lungo, palla al fondo (loro) e pedalare (noi). Vengono infatti ulteriormente differiti al 16.9.2020 i termini di effettuazione dei versamenti fiscali e contributivi sospesi in relazione ai mesi di marzo, aprile e maggio 2020. Ancora una volta viene buttata la palla avanti e basta.
Procrastinare infatti non significa non pagare. O peggio: la data del 16 settembre si pone tra le scadenze per i versamenti delle imposte dei dichiarativi, previsti per il 30 giungo, differibili al 31/7 con la maggiorazione dello 0,4%, ed i secondi acconti del 30 novembre, passando per l’iva del terzo trimestre e la rata inps del 16/11 e l’acconto iva del 27 dicembre. Un anno intero di tasse in poco più di tre mesi, da affrontare con poca o nessuna liquidità.
Sono fatti di cui si stenta a capire la logica, assolutamente lontani dalle esigenze esternate dalle aziende. Forse gonfiando il petto e guardandosi allo specchio l’inadeguato Giuseppi non si è accorto che i suicidi degli imprenditori sono stati già più di venti; dovrebbero avvisarlo, che i prossimi non passino per Roma.
Sono stati esclusi i versamenti del saldo IRAP 2019 e della prima rata dell’acconto IRAP 2020. Anche qui un altro bluff. La disposizione, venduta come uno sconto su tutta l’Irap 2019, in realtà investe solo l’eventuale saldo che dovesse risultare a debito una volta fatta la dichiarazione. Quindi, se la società nel 2019 ha avuto una diminuzione del valore della produzione, non avrà nessun beneficio.
Lo sconto fiscale invece si avrà sull’acconto 2020 che non si dovrà versare, ma che verrà comunque scomputato figurativamente sulla prossima dichiarazione.
L’unica nota lieta è l’indennità per lavoratori autonomi, imprenditori e co.co.co., il cosiddetto bonus già previsto per marzo ed (in parte) erogato, che viene confermato per aprile nella stessa misura di 600 euro e che sarà erogato automaticamente senza necessità di presentare ulteriore domanda.
Per il mese di maggio 2020 invece l’indennità non spetterà a tutti; qui si sono scatenati con limiti e condizioni bizantine. Per questo mese infatti il bonus sarà affiancato/sostituito dal contributo a fondo perduto, anch’esso sottoposto a cervellotiche restrizioni che si pongono tra l’incostituzionalità e il becero populismo.
Saranno infatti esclusi dall’erogazione del fondo perduto tutte le professioni ordinistiche, oltre ai professionisti iscritti alla gestione separata INPS ed ai lavoratori dello spettacolo. Stiamo parlando di circa 2,3 milioni di contribuenti: dai giornalisti ai geometri, dai commercialisti agli avvocati, dai medici ai periti agrari, come se per queste categorie il COVID non ci fosse mai stato.
Inutile dire che anche in questo caso il governo dimostra una scarsa consapevolezza dei problemi reali dei lavoratori, o forse potrebbe anche trattarsi di una malcelata invidia del pene di freudiana memoria.
La condizione principale di erogazione del fondo perduto è legata alla riduzione di fatturato e la somma viene attribuita in misura percentuale su tale riduzione, con queste proporzioni: il 20% per soggetti con ricavi/compensi 2019 non superiori a 400mila, 15% per soggetti con ricavi/compensi 2019 compresi tra 400.000,00 e 1 milione di euro, e 10% per i soggetti con ricavi/compensi 2019 tra 1 e 5 milioni di euro, con un minimo di mille euro per le persone fisiche e duemila per le società.
Ma se l’ottenimento del bonus di aprile era automatico, qui ritorniamo alla burocrazia olimpionica: per ottenere il contributo, infatti, si dovrà presentare un’apposita istanza telematica all’Agenzia delle Entrate, che prima dovrà emettere apposito provvedimento. Manca ancora il modello, le tracce e pure il software di invio, per cui molto probabilmente si dovrà aspettare almeno giugno per saperne di più, altro che i tre giorni di Gualtieri!
Il Decreto riconosce alle imprese un credito d’imposta per gli immobili non abitativi condotti in locazione pari al 60% del canone mensile, a condizione di aver subito un calo di almeno il 50% del fatturato nel mese di riferimento.
Anche per le spese di sanificazione degli ambienti di lavoro e degli strumenti utilizzati nell’ambito dell’attività lavorativa, per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, come guanti e mascherine, e di altri dispositivi rivolti a garantire la salute dei lavoratori (es. termometri e termoscanner) e degli utenti, quali barriere e pannelli protettivi, viene riconosciuto un credito d’imposta fino a un massimo di 60.000 euro, limite che per gli esercizi aperti al pubblico viene innalzato ad 80.000.
È incrementata al 110% l’aliquota della detrazione spettante per specifici interventi di riqualificazione energetica, riduzione del rischio sismico, installazione di impianti fotovoltaici e installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici. Anche qui capestro le condizioni, ma ne riparleremo perchè il ‘capitolo’ merita .
Il decreto apporta numerose modifiche alle disposizioni in materia di Cassa integrazione del precedente Cura Italia. Anche qui molte disposizioni contorte e di lettura poco agevole, e rimangono molti i punti spinosi. Si è creata in particolare una situazione imbarazzante in merito al divieto di licenziamento, che si concludeva il 16, lasciando spazio ai datori di lavoro di procedere nei giorni 17 e 18 alla interruzione dei rapporti di lavoro, spesse volte incalzati dai dipendenti stessi, più propensi ad accedere ai benefici della NASPI in luogo di quelli della CIG, che in confronto sono quasi un’elemosina. Il pericolo è che, operando come sempre in totale spregio dei principi di diritto e della nostra Costituzione, si cerchi di attribuire efficacia retroattiva alle disposizioni decretizie, rendendo vani i licenziamenti avvenuto nel periodo di vacatio.
Dopo essere passato per queste regole confuse, tardive e contraddittorie e per le cervellotiche procedure che le accompagnano, l’ultimo preoccupato pensiero di oggi non può che andare alle parole di Giuseppi del 26 aprile: “Siamo tutti consapevoli che in Italia c’è un grande risparmio privato. Ci sono tanti progetti, vedremo a tempo debito.”. Speriamo di non doverci indignare presto per un prelievo forzo o per una nuova patrimoniale.
Ad maiora!