a cura di Fabrizio Carta
È partita la corsa ai finanziamenti a garanzia statale e gli imprenditori si trovano coinvolti (loro malgrado) in questa nuova avventura, come tanti Indiana Jones alla ricerca della liquidità perduta. Ma le insidie e i trabocchetti sono tanti, e quindi attenti a non ritrovarci tutti dentro al tempio maledetto, e senza autocertificazione!
Partiamo dal fatto che lo Stato ci sta mettendo poco o nulla, ma sono le banche ad essere state arruolate come erogatori di liquidità alle imprese.
Non è vero nemmeno che le garanzie non costino nulla. Per il rilascio della garanzia alle piccole e medie imprese dovranno infatti essere corrisposte delle commissioni annuali in rapporto all’importo garantito, pari a 25 punti base durante il primo anno, 50 durante il secondo e terzo anno, 100 punti base dal quarto al sesto anno. Il doppio per tutti gli altri.
E tantomeno nulli saranno gli interessi. Anzi, a questo proposito non c’è nessun paracadute e gli interessi verranno stabiliti di volta in volta in trattativa privata con l’istituto di credito. L’unico limite massimo è tanto aleatorio quanto inutile, in quanto prende a riferimento il costo che sarebbe stato richiesto dal soggetto erogante per operazioni con le stesse caratteristiche ma prive della garanzia, che è dire tutto o dire niente. Ma in questo caso più niente che tutto.
Ma vediamo se si tratta più di potenza di fuoco o se la firma sull’istanza/autocertificazione di richiesta della garanzia non rappresenti un vero e proprio patto con il diavolo.
Il Mise ha pubblicato i modelli per la richiesta delle cosiddette 25.000 euro (leggi 25% del fatturato dell’anno precedente o il doppio del costo del lavoro). Nell’istanza, dove NOI stessi sottolineiamo che se non paghiamo il mutuo, il fondo-garante-amico ci verrà immediatamente a bussare alla porta, nei successivi punti 7 ed 8 ci assumiamo volontariamente (sic!) non solo l’obbligo di fornire tutta la documentazione necessaria per effettuare i controlli orientati all’accertamento della veridicità dei dati autocertificati, ma anche prova dell’effettivo impiego dei fondi, impegnandoci ulteriormente a consentire in ogni momento e senza limitazioni l’effettuazione di controlli, accertamenti ed ispezioni presso la nostra azienda.
Ma non pensate di cavarvela così, autocertificando semplicemente gruppo sanguigno e livello di colesterolo nel sangue. Purtroppo, non finisce qui!
Sopra i 25.000 euro, infatti, l’aiuto di Stato è condizionato all’impegno dell’impresa di gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali.
Dopo il blocco dei licenziamenti collettivi ed individuali dell’IN-cura Italia, in forte odore di incostituzionalità, per accedere al credito con garanzia statale sopra i 25.000 euro ogni volta che vorrete licenziare un dipendente dovrete rivolgervi ai sindacati. Ma non solo questo, dovrete richiedere la loro approvazione anche per una semplice riduzione dell’orario di lavoro da full time a part time, riferendosi il decreto alla mera “gestione” del rapporto del lavoro.
Inoltre, se si ricevono prestiti sopra i 25.000 euro, non si potrà procedere alla distribuzione di dividendi, nel caso ce ne fossero, né al riacquisto di azioni.
Ma le chicche non sono finite. Finanziare il circolante con un indebitamento, anziché con capitale proprio, anche se la scelta viene ultimamente “consigliata” nei migliori talk show televisivi e televendite di materassi e batterie di pentole, non è certamente una condotta consigliabile dal punto di vista economico ed aziendalistico.
Accedere ad un finanziamento oggi, con l‘azienda chiusa, e con incerte prospettive circa i futuri andamenti del vostro mercato, potrebbe aggravare una posizione debitoria esistente, e candidarsi a diventare la causa di un definitivo dissesto.
Contrarre un debito, se pur garantito e sponsorizzato dallo Stato, non esime dall’assicurare la certezza della sua restituzione, né dal tenere adeguatamente fede all’impegno contratto. La modalità “volemose bene” a brevissimo scomparirà e verrà dimenticata, mentre l’imprenditore rimarrà l’unico responsabile dell’esposizione debitoria della sua azienda.
È pertanto consigliato far asseverare da un professionista terzo ed imparziale che la situazione aziendale antiemergenza fosse sana e che la società non si trovasse in stato di insolvenza pregressa. L’altro importante consiglio è quello di redigere un business plan ragionato, anche su più possibili scenari futuri, così che si possa essere sempre in grado di dimostrare la sostenibilità del debito contratto, o quantomeno, un’accurata analisi pregressa in questo senso.
Questo comportamento, che rientra nei più elementari doveri di diligenza di un amministratore, certamente vi metterebbe al riparo da eventuali azioni di responsabilità, obblighi di risarcimenti dei danni da parte dei terzi, se non addirittura dalla beffa di vedersi accollare una bancarotta preferenziale, per avere acceso finanziamenti privilegiati con l’obiettivo di coprire perdite d’esercizio e finanziare debiti correnti, chirografari per loro natura.
Il decreto liquidità, fate bene attenzione, non prevede infatti nessuna disposizione in deroga ai reati fallimentari, che pertanto rimangono vigenti e pienamente operanti.
Pertanto, ci tengo a sottolineare e ribadire il consiglio di fare un’attenta e preventiva valutazione dei possibili scenari futuri, ponderando in modo accurato la capacità di rimborso dei prestiti contratti nei termini previsti dal decreto.
Il bazooka visto da questa angolazione sembra più una fionda.
E se le banche, come piano piano e sottovoce si paventa in questi giorni, non avranno o non saranno disposti ad erogare tutta questa liquidità, rischiamo pure di ritrovare dei semplici fiori nei loro cannoni. Ma è primavera, eh già.
Ad maiora!
Fabrizio Carta
Dottore Commercialista e Revisore legale
fabrizio.carta@ifconsulting.it