Numeri che danno i brividi.
Oltre 200 veneti hanno deciso di suicidarsi per motivi economici dal 2012 ad oggi. Il 20% del totale nazionale?
Questa la notizia finto-tragica che ci viene propinata da tutti i media nazionali. Da destra a sinistra il concetto condiviso è: notizie eclatanti si, ma non troppo. I numeri reali, quelli veri, frutto del dramma che vivono i nostri concittadini, non dovrebbero nemmeno appartenere ad un paese civile.
Scrivere i veri numeri, significherebbe condannare senza appello, un’ intera classe dirigente, incapace e serva di chi la finanzia.
Nel mese di marzo 2017 le cronache denunciano 61 suicidi in Italia, i dati reali superano i 350. Nel 2016 trovano spazio in Veneto 22 casi di suicidi per motivi economici, i dati reali “nascosti” superano i 358 casi. Oltre 4000 (quattromila) suicidi all’anno in Italia!!! E per un quadro completo del malessere imperante vanno aggiunti altrettanti tentati suicidi. Questi sono i numeri che tolgono il diritto di replica a chi ha responsabilità di governo. Primo per la colpevole complicità con chi non li divulga, secondo per la diretta responsabilità nell’avere condotto la penisola italica verso il baratro.
Ha perso un intero sistema economico, basato sulla recinzione degli orti, sulle ringhiere che segnano i confini di ogni piccola azienda. Una struttura imprenditoriale che è stata usata ed abusata grazie alla sua fragilità. E proprio la fragilità sulla quale un intero mondo di artigiani e piccoli imprenditori si potevano tenere a bada con un po’ di fido in banca e aggiungendo una nuova tassa ogni tanto, in modo che quasi non se ne accorgessero, sta facendo cadere tutto.
Le corde al collo o i colpi di pistola alla tempia sono in fondo l’ultimo tentativo di non abbandonare il frutto del proprio sudore. Generazioni di industriali che si vantavano di essere il motore dell’azienda.
Quelli del: “Quando morirò io, morirà anche la ditta!” “ Se non ci sono io, qua si chiude!”.
Con rammarico è necessario ammettere che quelle erano grandi verità. Certezze di cui il sistema economico del nordest non dovrebbe poi vantarsi molto, dato che legare le sorti di un’azienda ad un singolo è la peggior forma di industria possibile. Specialmente quando si hanno collaboratori.
Ma oggi siamo addirittura al capovolgimento dei fattori. La crisi che nessuno ha saputo affrontare, a partire dalle istituzioni maggiori, ha portato in scena una nuova trama.
Oggi, se muore la ditta, muore anche il suo fondatore.
I numeri non hanno anima, non hanno sentimenti nè colore politico. Nella loro spietata chiarezza confermano o smentiscono dati reali e propagande.
Nel Veneto i casi di suicidio nel 2017 sono aumentati. Sono aumentati al punto che ci stiamo abituando. Sono così tanti che ormai li piangono solo le comunità locali in cui si verificano.
Siamo al punto in cui è necessario camuffarli, confonderli. Siamo alla divisione tra i suicidi di natura economica e quelli di natura sociale. Le nuove regole del 5 febbraio 2014, impongono che non si rilevino più statisticamente gli eventi suicidiari in base alle informazioni trasmesse dalle Forze dell’Ordine, ma solo quelle “certificate attraverso il referto medico”. Un filtro straordinario che limita le informazioni giornalistiche ed esalta solo i casi più sensazionali. Quelli che trasmissioni di dubbio gusto e utilità possono far durare anni.
Oltre 4000 morti all’anno è una guerra che lo stato combatte contro i propri cittadini.
Nella guerra in Iraq l’alleanza occidentale ha perso 4000 soldati, 3500 in Afganistan, 1000 in Kosovo.
L’Italia nelle missioni militari all’estero dal 1949 ha perso 149 soldati. Ragazzi che hanno servito il Paese con onore. Morti dolorose che nessuno vuole dimenticare. Perdite per le quali vengono coniate medaglie al valore.
Ma se rapportate ai 16.631 (triennio 2012 – 2015) o ai 43.858 (decennio 2005 – 2015, i dati più recenti disponibili e pubblicabili grazie al neo regime di omertà) di padri e madri di famiglia, giovani e anziani disperati, la maggior parte tenuti accuratamente nascosti o passati sotto silenzio, abbiamo la percezione della pochezza e dell’inettitudine degli organi istituzionali che ci governano. Morti che vengono troppo spesso condannati dagli psicologi e dai filosofi ex disoccupati che grazie chissà quale grazie finiscono per distribuire perle di insipienza in TV.
Siamo addirittura alla selezione dei suicidi migliori, quelli utili per lo spettacolo, come si dice: pochi ma buoni. Tutti gli altri, il 90 a passa per cento, appartengono alla categoria anonima che disturbano e macchiano l’immagine di una politica buona per i talk show.
Una classe di primedonne che preferisce il trucco e il parrucco dei salotti televisivi alle aule della camera o dei consigli vari. Gente che difficilmente può immaginare quale sia l’angoscia di non avere un euro in tasca e di doverne pagare migliaia in tasse, in multe, in bollette, in ticket, in visite.
Il suicidio diventa l’unica via dettata dalla lurida depressione che coglie non solo i più deboli, ma molti di quelli che, dopo aver cercato di dare un futuro alla propria famiglia, si trovano messi all’angolo, derubati anche dallo stato e dalle banche che hanno mantenuto.
Non potersi più permettere un paio di scarpe nuove e uscire dal discount con il cestino mezzo vuoto. Non andare dal dentista e sperare che non si rompa l’auto vecchia di vent’anni.
Questo è il desiderio di morte. Altro che numero antisuicidi, altro che politiche di sviluppo, buone per farsi finanziare le campagne elettorali.
L’odore della morte è diventato meno acre dell’odore di una vita di sconfitte… e dura un secondo….
Jimmy Greselin