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‘La spesa sanitaria a carico dei cittadini è cresciuta troppo: +30% su diagnostica e specialistica’. Lo speciale

Anche nel virtuoso Veneto, modello da sempre di eccellenza ed efficienza, il quadro è allarmante e ci sono famiglie che rinunciano a quello che dovrebbe essere un diritto perchè non possono sostenere i costi del privato.

‘Serve trovare subito soluzioni per la ripresa della spesa sanitaria privata che grava in maniera quasi esclusiva sui bilanci delle famiglie, e serve farlo ora perché abbiamo a disposizione le risorse del PNRR per poter sviluppare progettualità utili a ridefinire le priorità del nostro sistema sanitario, garantendo così una maggiore capacità assistenziale’.
A dirlo è Marco Vecchietti, amministratore delegato e direttore generale di Intesa Sanpaolo RBM Salute.
Interpellato dalla Dire Vecchietti spiega, a partire dai numeri dell’ultimo rapporto Intesa Sanpaolo RBM Salute-Censis, come la spesa sanitaria privata, che molto probabilmente nel 2021 arriverà a sforare quota 40 miliardi di euro, continuerà a crescere anche dopo la fine della pandemia. ‘Sono due gli aspetti da considerare per comprendere l’aumento della spesa sanitaria privata registrato nei primi 6 mesi del 2021- afferma Vecchietti- Un primo aspetto potrebbe essere qualificato come ‘contingente’, sebbene rimarrà un fattore determinate almeno nel medio periodo.
La sanità pubblica vive ancora in un momento di straordinarietà- osserva l’ad- essendosi trovata di fronte in questi ultimi 18 mesi alla necessità di soddisfare nuove esigenze, prima la gestione dell’emergenza-urgenza e dell’assistenza alle persone colpite da Covid-19 poi il monitoraggio attivo con l’esecuzione di tamponi e infine la gestione della complessa campagna vaccinale nazionale, tutte legate al contrasto della pandemia.
Una priorità che, da un lato, ha assorbito risorse economiche e professionalità ma, dall’altro, ha anche permesso di creare dei nuovi percorsi assistenziali, come la costruzione di nuovi padiglioni negli ospedali più grandi e la creazione di percorsi differenziati per pazienti Covid e non all’interno delle strutture ospedaliere, i quali hanno prodotto delle inevitabili inefficienze di allocazione, riscontrabili sia in una riduzione del presidio assistenziale della sanità pubblica rispetto alla continuità assistenziale e alla cronicità che in un ulteriore allungamento delle liste di attesa’.
‘L’esigenza di cercare dei percorsi di cura che evitino lo stazionamento in locali contigui a quelli nei quali si stanno ancora curando dei pazienti Covid, ha fornito un ulteriore motivazione ad un accesso diverso alla sanità da parte dei cittadini che ha privilegiato e, tutt’ora, in molti casi ancora lo si riscontra- precisa Vecchietti- l’organizzazione programmata degli accertamenti e delle cure ricorrenti all’interno di strutture private, nella maggior parte dei casi non coinvolte nella gestione diretta della pandemia. Ma c’è poi un secondo aspetto, questo sì di natura strutturale, che non potrà essere ‘resettato’ anche quando ci lasceremo definitivamente questa esperienza alle spalle. Si tratta- commenta l’ad di Intesa Sanpaolo RBM Salute- del rapporto degli italiani con la propria salute. La pandemia ha generato un boosting nell’empowerment del paziente che, al di fuori della fase emergenziale, è evoluto in una rinnovata attenzione per le tematiche del controllo e della prevenzione. È proprio questo fattore ad aver indotto un cambiamento nei comportamenti dei cittadini, portando ad uno shifting della spesa sanitaria verso il privato, anche in Regioni come il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Toscana e l’Umbria, caratterizzate storicamente da una significativa prevalenza della sanità pubblica’.
‘Da un lato è quindi cambiata la percezione degli italiani sull’importanza della salute- evidenzia Vecchietti- dall’altro, è mutato il rapporto tra cittadino e sanità con una tendenza all’aumento medio delle spese di almeno un 30% nelle aree ricomprese nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) del Servizio Sanitario Nazionale del controllo e della prevenzione e nelle aree extra LEA dell’odontoiatria e della fisioterapia, nelle quali la sanità pubblica non ha mai offerto un presidio tout court ai cittadini’.
Per Vecchietti la priorità ora è quella di approntare soluzioni efficaci di fronte a questo nuovo contesto di riferimento e bisogna farlo in fretta: ‘Il PNRR- spiega- è una grande opportunità che permetterebbe di liberare ingenti risorse per poter lavorare, in maniera strutturale, sulle priorità del nostro sistema sanitario e sul ribilanciamento della cooperazione tra pubblico e privato, con ruoli che possano evolvere verso una maggiore sinergia allo scopo di liberare una maggiore capacità assistenziale. Già nel 2019-2020, come illustrato nel rapporto Intesa Sanpaolo RBM Salute-Censis, sono stati 8,7 milioni gli italiani che si sono curati al di fuori del Servizio Sanitario Nazionale, il 14,5% degli aventi diritto’.
Ma perché occorre trovare in fretta soluzioni efficaci? Anche qui il rapporto Intesa Sanpaolo RBM Salute-Censis lo spiega chiaramente: con l’aumento dell’età media di vita delle persone, aumentano anche l’incidenza media delle patologie ma soprattutto aumentano le cronicità, le cui cure sono state bruscamente interrotte durante la pandemia. ‘In Italia, 25 milioni di persone hanno una patologia cronica- ricorda Vecchietti- con una quota crescente di multi-cronici. Per gestire con efficacia, anche in prospettiva, l’intersezione tra cronicità, multi-cronicità e longevità è indispensabile supportare il sistema sanitario con risorse aggiuntive, ibridando i percorsi di cura che riguardano queste patologie e alleggerendo significativamente il Servizio sanitario nazionale dagli oneri legati alle prestazioni sanitarie ricorrenti e a minor valore aggiunto, favorendo così un maggiore impegno della sanità pubblica su alta specializzazione, emergenza-urgenza e acuzie. Costruire, anche nel nostro Paese, l’infrastruttura strategica della sanità integrativa può assicurare un finanziamento costante per far fronte alle esigenze della cronicità in un segmento nel quale il tema della costanza e della continuità delle cure, magari anche a minore intensità, assume un’importanza fondamentale’. Occorre poi chiedersi se le risorse che il PNRR mette in campo per la sanità (7 miliardi di euro) siano sufficienti non tanto in valore assoluto ma in termini di progettualità sostenibili.

‘Il fabbisogno da colmare in termini di capacità assistenziale è sicuramente importante e significativo- spiega Vecchietti- anche perché quando parliamo di salute le dimensioni non sono mai statiche. Non bisogna dimenticare che in sanità nel momento stesso in cui si determina un fabbisogno si sa che, già a partire dal giorno successivo, bisognerà riaggiornarlo. È proprio questa, del resto, la motivazione principale per puntare su sistemi che, al pari di quelli già adottati da altri Paesi europei, siano in grado di affiancare a un sistema pubblico che lavora con la logica dello stanziamento preventivo di budget di spesa, un sistema assicurativo che, per sua natura, si avvale della mutualità tecnica per liberare in favore degli assicurati che necessitano di prestazioni sanitarie risorse maggiori rispetto a quelle incassate da ciascuno di loro come premio. A livello esemplificativo, potremmo dire che un premio di 10 euro pagato da ciascun assicurato finisce per finanziare i 100 euro necessari per l’erogazione delle prestazioni sanitarie richieste dagli assicurati che abbiano bisogno di cure. È con questo approccio che si potrebbero trasformare, almeno in parte, quei 7 miliardi di euro di investimento stanziati dal PNRR per la sanità, in maggiori risorse’.
‘Anche per questo- aggiunge Vecchietti- occorre creare degli incentivi affinché le famiglie possano trasferire il rischio di salute che grava direttamente sul loro bilancio familiare verso gli operatori specializzati. Un’impostazione, peraltro, che non dovrebbe riguardare solo la salute ma anche tutti gli altri beni importanti della vita, come la tutela dagli infortuni, la protezione dalle catastrofi naturali e la tutela della propria abitazione. Nell’area delle assicurazioni dei beni, il cosiddetto ‘ramo danni’, l’Italia sconta una forte arretratezza rispetto agli altri paesi europei. La ritenzione del rischio in proprio da parte delle famiglie porta inevitabilmente ad una maggiore fragilità del nostro sistema Paese e alimenta la persistenza di vincoli importanti alla ripresa dei consumi ed al rilancio del nostro Paese. Diversamente l’impiego della leva della mutualità tecnica propria del settore assicurativo consentirebbe di operare in un Paese più protetto, sfruttando al meglio le risorse disponibili anche nel settore privato, senza dover invocare costantemente il rifinanziamento della spesa pubblica’.
Peraltro, l’istituzionalizzazione della sanità integrativa come pilastro organico del nostro sistema sanitario consentirebbe anche ai lavoratori autonomi e agli atipici di beneficiare di una copertura assicurativa sanitaria con livelli di premio più accessibili: ‘Il fabbisogno sanitario prescinde dal tipo di reddito che si produce- chiarisce Vecchietti- perché la salute di ciascuno è fondamentalmente legata all’età e allo stile di vita.
Attualmente però solo i lavoratori dipendenti possono accedere agli incentivi fiscali per la sanità integrativa come, dagli Anni 90, già accade anche per la previdenza complementare. I lavoratori ‘atipici’, peraltro, disponendo di una minore stabilità sia in termini economici che di tutele sociali, dovrebbero poter accedere a un incentivo fiscale ancora maggiore, così come dovrebbe essere anche per i giovani, affinché possano iniziare a prendersi cura, per tempo, della propria salute.
Basterebbe fare in modo che il premio annuo che il cittadino versa per un’assicurazione sanitaria sia detraibile al 19% dalla propria dichiarazione dei redditi, al pari di qualsiasi altra spesa sanitaria a carico delle persone. Del resto, l’impianto delle detrazioni è costantemente oggetto di interventi in materia di ristrutturazioni, edilizia e risparmio energetico. Solo il campo della sanità rimane sempre uguale, nonostante nell’ultimo decennio la spesa sanitaria a carico dei cittadini sia cresciuta in modo costante e significativo’.
‘Equità in sanità dovrebbe significare poter disporre di un’analoga accessibilità alle prestazioni sanitarie su tutti i territori e per tutti i cittadini- osserva Vecchietti- È evidente che non è facile attuare questi indirizzi perché ci sono, innanzitutto, delle disponibilità diverse, in termini di capacità sanitaria, modelli organizzativi e assetti demografici tra le Regioni del nostro Paese. Ma è anche in questa direzione che un sistema di sanità integrativa potrebbe garantire il proprio contributo, favorendo una sorta di perequazione rispetto alla capacità assistenziale di ciascun territorio. Il sistema, quindi, pur rispondendo su base nazionale ad un quadro di riferimento omogeneo, dovrebbe poter essere declinato anche a livello locale al fine di cogliere le specificità e i bisogni assistenziali di ciascun cittadino. Questa impostazione garantirebbe sicuramente un alleggerimento del costo delle spese sanitarie effettuate al di fuori del Ssn garantendo a tutti i cittadini, a prescindere dal reddito e dal territorio in cui vivono, di disporre di percorsi di cura complementari a quelli del Ssn finanziati, in tutto o in parte, attraverso il sistema assicurativo. Tanto più questo sistema sarà accessibile e standardizzato, tanto più il livello di equità sarà elevato’.
‘Si pensi, al riguardo, al modello del sistema sanitario francese- porta all’attenzione l’ad e direttore generale di Intesanpaolo RBM Salute- in cui tutti i cittadini sono tutelati anche attraverso una forma di sanità integrativa, tanto che determinate prestazioni sanitarie sono cofinanziate dalla sanità pubblica e dal sistema assicurativo’.
Vecchietti spiega che ‘diverse sono le esperienze consolidate che garantiscono una maggiore equità per le spese sanitarie ma il presupposto di fondo, al di là delle technicalities adottate in ciascun Paese, è mettere tutti i cittadini nella condizione di poter accedere liberamente non solo al sistema sanitario di base ma anche alle forme di sanità integrativa. Purtroppo- conclude- ad oggi nel nostro Paese ancora non è così’.