“Nel 2020 le donne tra i 15 e i 49 anni (intervallo che convenzionalmente identifica le eta’ feconde) erano 1,3 milioni in meno rispetto al 2008. Il minor numero di donne in eta’ feconda, conseguenza del crollo delle nascite avvenuto nel periodo 1975-1995, comporta inevitabilmente, in assenza di iniziative finalizzate ad un incremento della fecondita’, meno nascite. Oggi le donne tra i 35 e i 39 anni fanno piu’ figli di quelle tra i 25 e i 29 anni e le ultra-quarantenni ne fanno come le 20-24enni”. A sottolinearlo e’ Rino Agostiniani, vicepresidente della Societa’ italiana di pediatria (Sip), in articolo dal titolo ‘Un Paese senza futuro’ pubblicato su Pediatria, la rivista ufficiale della Societa’. “Come pediatri dobbiamo ribadire con forza che la questione della denatalita’ e’ una priorita’ per il nostro Paese- scrive Agostiniani- Fare figli non deve continuare ad essere considerata una scelta privata, ma un investimento da sostenere, sia dal punto di vista economico che sociale, nell’interesse della collettivita’. I bambini sono un bene comune, la vera ricchezza di un Paese. Un Paese senza bambini e’ un Paese senza futuro”. . Il vicepresidente Sip ricorda che il problema della crisi demografica viene da lontano.
“Iniziata nella seconda meta’ degli anni ’70 e precipitata nel 2009, la crisi demografica ha condotto ad un calo di circa un quarto delle nascite negli ultimi 10 anni (erano piu’ di un milione nel 1964, 576.000 nel 2008, 420.000 nel 2019)- scrive il pediatra- Nei primi otto mesi del 2020 le statistiche ufficiali hanno registrato in Italia 268.000 nascite, circa il 3% in meno rispetto al 2019, e tutto lascia pensare che il record negativo raggiunto lo scorso anno verra’ ulteriormente peggiorato nel bilancio del 2020, con una previsione (forse ottimistica) di 408.000 nati a livello nazionale”. Una previsione che il vicepresidente Sip definisce ‘ottimistica’ perche’ la situazione “gia’ cosi’ critica in epoca pre-Covid- sottolinea- e’ probabile che registri un ulteriore peggioramento nel momento in cui andremo a valutare gli esiti delle gravidanze iniziate da marzo in poi”. E’ infatti “legittimo ipotizzare- sottolinea il vicepresidente Sip- che il clima di paura ed incertezza, insieme alle crescenti difficolta’ di natura economica, generati dall’epidemia, abbiano orientato negativamente le scelte di fecondita’ delle coppie”. La fecondita’ bassa e tardiva e’ l’indicatore piu’ rappresentativo del malessere demografico del Paese. Eppure “tra le donne senza figli (circa il 45% delle donne tra 18 e 49 anni nel 2016), quelle che non includono la genitorialita’ nel proprio progetto di vita sono meno del 5%- sottolinea il pediatra- La scelta consapevole e deliberata di non avere figli e’ poco frequente, mentre e’ comune la decisione di rinviare nel tempo la realizzazione dei progetti familiari per la difficolta’ delle condizioni economiche e sociali”. Le donne vivono “il rischio aggiuntivo degli effetti negativi di una possibile maternita’, per contratti di lavoro e modelli organizzativi poco tutelanti la genitorialita’ e la scarsita’, oltre che il costo, dei servizi per la prima infanzia”, ricorda il pediatra. Una realta’ fotografata dai dati dell’Ispettorato del Lavoro: oltre il 70% delle donne che lascia volontariamente il lavoro lo fa a causa della difficolta’ a conciliarlo con la maternita’ e la cura dei figli.
“Solo dopo che le donne, e ancor piu’ i loro compagni, si sono stabilizzate nel mercato del lavoro e hanno migliorato il proprio reddito decidono di affrontare i rischi, e i costi, del primo figlio o di un figlio in piu'”, sottolinea Agostiniani. Tutto questo crea nel nostro Paese un ‘debito demografico’.
“Diminuiscono i giovani mentre aumentano gli anziani- scrive Agostiniani- il che ci rende uno dei Paesi piu’ vecchi del mondo (al primo gennaio 2020 ci sono 178,4 persone di eta’ superiore a 65 anni ogni 100 giovani con meno di 15 anni). Meno giovani significa meno nascite, sia attuali che future- evidenzia il vicepresidente Sip- meno famiglie con figli, con ulteriore accentuazione dello squilibrio generazionale, minore popolazione in eta’ attiva, con le inevitabili conseguenze sulle risorse destinate al welfare, e minore peso politico delle generazioni piu’ giovani, storicamente portatrici di rinnovamento”. Dunque che fare? “Le soluzioni ci sono- scrive il pediatra- ma necessitano di scelte coraggiose che consentano di intraprendere un percorso di radicale cambiamento, prima di tutto di tipo culturale. Basta guardarsi intorno e prendere esempio dai Paesi che buoni risultati li hanno gia’ ottenuti”, dice Agostiani. Per esempio la ripresa della fecondita’ in Francia o nei Paesi Scandinavi registrata negli ultimi anni “ha dimostrato che gli strumenti piu’ efficaci per indurre le coppie ad andare oltre al primo figlio sono politiche finalizzate a facilitare la conciliazione tra famiglia e lavoro ed un rapporto piu’ equilibrato tra i generi, con particolare riguardo ai congedi parentali”, scrive il pediatra. In questi Paesi “pur attraverso l’adozione di strategie di tipo diverso (piu’ incentrate sugli incentivi economici in Francia, sulla maggiore offerta e disponibilita’ di servizi dedicati all’infanzia nei Paesi scandinavi), le donne non sono costrette a difficili riflessioni su quanto avere un figlio potra’ incidere sulla loro vita professionale”, conclude il vicepresidente Sip.