Paura di confessare un momento di fragilità, discrezionalità di giudizio dei comandanti, poca considerazione del merito, precarietà dovuta alla nuova forma professionale delle Forze Armate, scarsa attenzione al benessere psicologico. Sono questi, secondo la denuncia dei sindacati militari, alcuni elementi ricorrenti in tutte le richieste d’aiuto che arrivano dai loro iscritti e non solo, confessati tra mille paure che accendono un allarme sulla salute psichica degli uomini e delle donne delle nostre Forze Armate e soprattutto su quali misure di prevenzione e di sostegno e monitoraggio nel tempo siano messe in campo.
I SUICIDI: MOTIVI PERSONALI?
Sui numeri e le fonti c’è la prima controversia e la sensazione di un sommerso che inizierebbe già dalle statistiche. L’Osservatorio suicidi in divisa, fonte aperta, presenta una casistica aggregata tra Forze Armate e dell’ordine che riporta cinque suicidi dall’inizio dell’anno, 72 nel 2022, 52 nel 2021 e 51 nel 2020. Sono sempre Carabinieri, Guardia di Finanza e le diverse Polizie ad avere i numeri più alti per l’immediata disponibilità dell’arma.
In termini statistici, rispetto ad un riferimento con la popolazione civile, non sembrerebbe esserci un allarme di numeri, anzi l’Osservatorio epidemiologico della Difesa riporta nel 2019 nero su bianco che “l’andamento del fenomeno suicidario nel contesto militare risulta numericamente contenuto rispetto a quanto riscontrato nella popolazione generale e sul versante qualitativo risultano sovrapponibili, rispetto alla popolazione generale, le variabili correlate al suicidio, cioè i cosiddetti fattori di rischio e fattori protettivi”.
VALUTAZIONE PSICOLOGICA SOLO ALL’INCORPORAMENTO
Ma l’errore sarebbe a monte, secondo l’associazione ‘L’altra metà della divisa’ e starebbe proprio nell’approccio alla salute mentale: “I militari fanno una valutazione psicologica nella fase dell’incorporamento che è un quadro del momento. Tutti noi come esseri umani evolviamo e attraversiamo momenti di stress psicologico. I soldati di solito non sono richiamati a controlli psicologici se non su loro specifica richiesta o quando si è già evidenziato un disturbo. In tal caso viene messa in valutazione la loro idoneità al servizio e così i militari preferiscono ‘curarsi le ferite da soli’”, spiega alla Dire la presidente Rachele Magro. I sindacati militari, pur non parlando di un’escalation suicidi denunciano aspetti che vengono sottovalutati, con tutti i rischi che questo comporta.
Antonello Arabia, ex comandante e oggi presidente del SUM (Sindacato Unico dei militari) lo dice con chiarezza: “La Difesa per legge deve annualmente presentare in Parlamento una relazione sullo stato delle Forze Armate. In una pagina specifica il fenomeno dei suicidi viene presentato all’interno dei decessi. L’ultimo presentato è del 2019 e noi abbiamo 23 suicidi per le Forze Armate e Carabinieri – riporta 69 l’Osservatorio suicidi in divisa calcolando anche le diverse Polizie ma – aggiunge Arabia – nessuno si pone il problema delle cause. Io chiederei al ministro uno sforzo in più“.
IL GESTO ESTREMO
Si arriva al gesto suicidario dopo una serie di comportamenti. Carlotta Lorefice, graduata dell’esercito e laureata in psicologia, vicepresidente del SUM, lo sottolinea: “Il suicidio non è solo un disturbo psichiatrico, ma ci si arriva dopo tutto un incastro emotivo che porta a quel gesto”. Il militare pur addestrato ha anche il carico dell’immagine che i civili hanno della divisa: “Tutti pensano alla persona forte, massiccia, addestrata, del resto è l’unico lavoro in cui si giura alla Patria anche di dare la propria vita”.
Quando tutto questo è insidiato da una difficoltà di vita si ha paura a chiedere aiuto, timore di essere considerati inidonei, per un carabiniere di non avere più la pistola, per un pilota magari di rimanere a terra. Va da sé che quando dietro al suicidio di un militare la causa viene subito riportata come personale, diventa complicato capire e dimostrare quanto quel personale sia stato determinato da un problema professionale, come ad esempio il disturbo post traumatico da stress al ritorno da un teatro operativo, o la lontananza dalla famiglia per la frequente difficoltà, a quanto dicono i sindacati, di avere ricongiungimenti familiari.
L’AIUTO DATO DAI SINDACATI
“È importante creare un soggetto terzo, esterno alla struttura, che possa dare supporto alla persona in difficoltà – sottolinea Paolo Melis Segretario generale del sindacato aeronautico SIAM – per poter iniziare un percorso di sostegno che lo aiuti a mantenere la sua attività lavorativa”.