Non c’è più il futuro di una volta. Anzi, in molti il futuro proprio non lo vedono più, schiacciati come sono dal presente, da quell’attimo dopo attimo che si trasforma, e ci trasforma in soggetti sempre scaduti, senza passato e senza futuro appunto. Lo aveva già ben chiaro il grande Walter Benjamin nel 1933, quando nel suo saggio ‘Esperienza e povertà’ dopo una prima parte tutta presa dal fuoco positivo dello sviluppo moderno, alla fine prevale l’angoscia per un futuro che si annuncia di distruzione. Come poi avverrà con la Seconda guerra mondiale.
“Siamo divenuti poveri- scrive Benjamin- abbiamo ceduto un pezzo dopo l’altro dell’eredità umana, spesso abbiamo dovuto depositarlo al Monte di pietà a un centesimo del valore,per ricevere in anticipo la monetina dell’attuale. La crisi economia è alle porte… un ombra, la guerra che avanza“. Vero che adesso tutti, a partire dai nostri governanti, rilasciano sempre messaggi che sì, è vero, siamo in difficoltà, le guerre scoppiano anche qui vicino ma dai, vedrete che poi alla fine la ragione prevarrà, in qualche modo la sfanghiamo. Ciò non toglie che in qualcuno resti una qualche perplessità e timore, perché almeno stando a quanto accade questa ragione poi non è che sembra prevalere, anzi. Spesso la ragione non trova più un diritto che lo affermi e che questa alla fine diventi la ragione del più forte, di quello che prevale sul monte di cadaveri e macerie.
Ma non è sull’aspetto più politico che vorrei soffermarmi quanto sulla parte che più riguarda la narrazione del nostro presente e, quando possibile, del futuro che immaginiamo. La narrazione dello sviluppo positivo della nostra modernità almeno a grosse linee si accompagna o si accompagnava sempre al cambiamento, per qualcuno la rivoluzione, che si doveva attuare per superare il vecchio. Si doveva ricominciare da capo, questo il messaggio che ha accompagnato una bella fetta della generazione post anni Settanta. Non posso farla lunga, ma con l’avvento dei social, con la possibilità che ha ognuno di noi di sommergere tutti gli altri con il ‘racconto’ dei propri istanti di vita quotidiana, ecco che la nostra vita si schiaccia in un immenso istante di comunicazioni, dilatato, che poi scompare senza lasciar traccia, superato immediatamente da un altro istante di comunicazioni.
Molti studiosi stanno analizzando il fenomeno, io trovo molto interessante quanto scrive il filosofo Byung-Chul Han, nato a Seoul ha insegnato a Friburgo, Monaco e Berlino. Per lui l’odierno tsunami dell’informazione aggrava la crisi dell’esperienza narrativa perché ci fa precipitare in un vortice di attualità. Le informazioni frammentano il tempo. Il tempo si contrae nello stretto binario dell’attualità… E il bisogno compulsivo di attualità destabilizza la vita”. E la banalizza, aggiungo io. In questo senso non esiste più passato e il futuro si contrae in un continuo aggiornamento dell’ultima news. Ed è in questo trascinarsi da un momento presente a un altro, da una crisi a un’altra crisi, da un problema al prossimo, “la vita rallenta diventando sopravvivenza”. Vivere non si esaurisce nel risolvere problemi. Chi vive solo risolvendo problemi, scrive Byung-Chul, “non ha alcun futuro. Solo la prassi narrativa apre il futuro nella misura in cui ci offre la possibilità di sperare”.