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Non paga l’Iva, ma per il giudice è: “Evasione di sopravvivenza”

Non paga l’Iva, ma il giudice lo grazia. E’ la storia di un imprenditore che per sopravvivere ha iniziato a non pagare le tasse. A salvarlo, come si racconta nell’articolo della Stampa, la corte di Cassazione del tribunale di Pescara che ha definito questo caso come «evasione di sopravvivenza», ed è quella che costringe un imprenditore a scegliere tra versare le tasse e chiudere bottega, perché i soldi dovuti al Fisco sono gli unici a disposizione per tenere in vita l’azienda, pagare gli stipendi ai dipendenti e tentare un disperato rilancio.
Molti sono finiti stritolati in questa spirale: oltre 15 mila dal 2008 a oggi. Alcuni si sono salvati, ma solo dopo aver combattuto una lunga e affannosa battaglia. Nei giorni scorsi la Cassazione ha annullato un’ordinanza del tribunale di Pescara che aveva disposto il sequestro preventivo sui beni della società e sui conti di Corrado C., manager di una azienda del settore costruzioni, messo sotto indagine per omesso versamento dell’Iva. La misura del sequestro rischiava di far chiudere l’azienda, già in difficoltà dopo anni di crisi dell’edilizia, appesantita dai debiti, ma soprattutto da una moltitudine di crediti maturati negli anni e mai riscossi. Con alcune imprese finite in cattive acque ma soprattutto con lo Stato.

L’imprenditore Corrado C. nel 2011 non ha versato 170 mila euro di Iva, ma le sue difficoltà sono cominciate prima: dal 2005 costantemente contrattava con Equitalia la rateizzazione delle imposte arretrate. Riusciva a pagare, anche se spesso sforava i termini. Nel 2011 non ce l’ha più fatta. E il tribunale, per tutta risposta, nel marzo scorso, ha disposto il sequestro dei beni personali e aziendali, a garanzia di quanto doveva all’Erario, facendogli rasentare il fallimento.
La Cassazione ha fermato tutto: negli anni Corrado C., mentre implorava l’Erario perché gli concedesse un po’ di tregua, rateizzando i suoi debiti, ha accumulato quasi 3 milioni e 900 mila euro di crediti con la pubblica amministrazione. La sua impresa vinceva gare d’appalto, portava a termine le commesse ma incassava il dovuto con un ritardo tale da metterla in ginocchio.
«Tutti gli elementi a discarico sono stati ignorati dal Tribunale, che non ha neppure spiegato le ragioni poste a sostegno della propria decisione», scrivono i giudici della Cassazione nella sentenza con cui accolgono il ricorso dell’imprenditore. Corrado C., presentando documenti, moduli e persino la relazione di un consulente aziendale, ha dimostrato di averle tentate tutte per mantenersi in regola, ma di aver capitolato solo quando i debiti che lo Stato aveva accumulato nei confronti della sua azienda sono diventati insormontabili. E, per i giudici, la pubblica amministrazione – responsabile delle sue difficoltà – non può adesso presentargli il conto, rischiando di farlo affondare. (fonte gds.it)