AltoVicentinOnline

La Rai ha toppato. Punto

“Siamo uomini o quaquaraqua?” L’interrogativo lo pose Leonardo Sciascia nel suo “Il giorno della civetta”, consentendo a quella parte di mondo che ne comprende il significato di compiere una sorta di distinzione nella specie umana. Suddividere gli uomini per valore, per scelte effettuate nel corso della vita.

Ovvio che questo nostro percorso terreno spesso pone trappole a chi sceglie di appartenere alla prima categoria, quella degli uomini, ma chi la sceglie al di sopra di ogni interesse specifico, infine, sa come restare fedele al suo essere più vero. Nella scelta della Rai di accogliere come ospite di Porta a Porta il figlio di Totò Riina, c’è una incontrovertibile tendenza alla ricerca dell’interesse personale: l’audience.

Pur sapendo che c’è un ‘cuore popolare’ che ha pulsato di forte sdegno per questa scelta, ieri sera, come da palinsesto, Bruno Vespa ha ospitato Salvatore Riina junior, figlio del boss più spietato di Cosa Nostra. Uno che, di regola come ogni figlio, ha dichiarato di amare il proprio padre.

A chi insorge per questa dichiarazione va detto che Salvo Riina ha fatto il suo. Ha giustamente difeso il proprio diritto di amare. Inaccettabile è altro. E’ l’idea di ‘famiglia normale’ – pur nella riconosciuta diversità – che il figlio del‘capo dei capi’ ha voluto dare della propria. Una famiglia che, come tante, ha ritmi consueti: il padre che lavora (esce al mattino, il ‘geometra’ Riina-Bellomo, e torna la sera) la madre che cresce i 4 figli, i figli che studiano, ma in casa. Niente scuola per loro. E la sera, tutti a tavola per cena, a vedere il Tg.

Ed è normale, in casa Riina, che sul video passino immagini di una strage; è normale che il telecronista parli di corpi dilaniati, di uomini di legge maciullati dall’altra legge, quella del crimine. E’ normale che l’autore di quella strage sia‘papà’, che siede a tavola con loro. Anche se loro, ancora, non sanno. Ma dopo? Dopo i figli crescono e sanno, e nel sapere non giudicano, no. Si adagiano nella coltre dell’amore filiale, quella che copre e riscalda, a dispetto della trama del tessuto che la compone.

Bruno Vespa, con consueto tono da confessionile, ieri sera ha creduto di fare la “rivoluzione del pensiero mafioso”. Da buon conduttore ha tentato, con la pacatezza di un ipnotizzatore, di ‘condurre sulla retta via’ un ‘figlio ad oltranza’. Uno che, i 18 ergastoli inflitti a papà li vede come incidenti di percorso di un operatore del crimine. Tappe obbligate della carriera del mafioso. Tono su tono, pacatezza contro pacatezza, Salvo Riina non si è scomposto minimamente alle visioni delle immagini delle stragi di via d’Amelio e di Capaci. Sorridente quanto basta, lo sguardo buono del figlio devoto che nulla ha da eccepire a un padre presente nel crimine quanto in famiglia, Salvo era lì, ospite d’eccezione di una trasmissione che non ha badato alla sostanza delle cose ma alla mercificazione dei valori.

Per quanto Vespa tentasse di tenerli alti parlandone, sono i fatti che lo smentiscono: accogliere nel suo salotto chi parla del ‘lavoro’ di papà come farebbe il figlio dell’impiegato comunale (un padre che miete vittime come l’altro mette timbri) è un infarto per il ‘cuore popolare’.

Stasera, la Rai, per offrire un ulteriore punto di vista contrapposto a quello offerto dal figlio di Riina, dedicherà una puntata di Porta a Porta alla lotta contro la criminalità. Tra altri, saranno ospiti il Ministro dell’Interno Angelino Alfano e il presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone.

A proposito di ‘Uomini e quaquaraqua’, un uomo in lotta contro la mafia non dovrebbe parteciparvi. Giusto per non offrire alla Rai altra audience. Giusto per non dare alla Rai l’alibi della pari informazione. Giusto perché non si canta messa in una chiesa sconsacrata. La Rai ha toppato, di brutto. Punto.

Patrizia Vita