Secchiate d’acqua potabile gelata sulla testa con il sorriso stampato sulle labbra? No grazie. Soprattutto visto che a Thiene c’è chi è costretto a ‘rubarla’ dai parchi pubblici perché non se la può permettere.
Il segno della diversità di atteggiamento nei confronti dell’acqua potabile non si nota solo dalle foto che appaiono sul social network Facebook e che mostrano bambini africani disidratati di fianco a super star e politici che sghignazzano dichiarando di stare al gioco a scopo benefico.
La diversità di atteggiamento si può notare anche in alcuni parchi pubblici di Thiene, come il Parco del Donatore, alla cui fontanella, che ‘spina’ piccoli rivoli d’acqua potabile, si recano ogni giorno file di extracomunitari che riempiono bottiglie vecchie con acqua nuova. Segno dei tempi, segno della mancanza di danaro, segno che una bottiglia d’acqua è niente per qualcuno e tutto per qualcun altro.
A Thiene, se ci si apposta su una panchina si può assistere alla scena: un uomo o una donna di colore (finora le testimonianze riguardano solo questa tipologia di persone), arriva alla fontana a piedi con borse contenenti decine di bottiglie d’acqua vuote. E dopo averle riempite, se le carica in spalla come una bestia da soma e sempre a piedi fa ritorno da dove è venuto.
Un gesto criticabile forse, tanto quanto il collegarsi alla rete elettrica di qualcun altro per risparmiare sulla bolletta. Ma quando si parla di acqua potabile in suolo pubblico si può davvero parlare di ‘furto’? C’è chi si lava le mani dopo aver giocato a palla nel prato, chi ci sciacqua le zampe del cane per non portare a casa terriccio, c’è chi ci riempie i gavettoni ad agosto e chi ci riempie le bottiglie per dissetare i figli a casa. Segno dei tempi e della fortuna di avere o meno un conto in banca? Sicuramente sì. Ma segno anche che tutti quei super vip, da Barack Obama a Jovanotti a Matteo Renzi, che si docciano con secchiate d’acqua usando l’Ice Bucket Challenge per far vedere quanto bravi sono, forse dovrebbero prima farsi un esame di coscienza e pensare se davvero non ci sono altri sistemi migliori per ‘fare beneficenza’.
Anna Bianchini