“L’omicidio di Lorena è stato particolarmente efferato, poiché la ragazza è stata strangolata e colpita ripetutamente con una lampada, con accanimento. Emerge, poi, dall’analisi dei messaggi trovati sul cellulare della ragazza, il comportamento ossessivo e violento del compagno, che si sentiva inferiore a lei a causa della sua carriera da infermiere in contrasto con l’ambizione di Lorena di diventare medico”.

“Questo insieme di elementi sarebbe riconducibile più ad una lucida e ferma volontà dell’assassino che non ad una patologia di stress derivante da Covid-19; a giudizio dell’interrogante, l’inclusione dello stress da Covid-19 come attenuante generica per il femminicidio solleva non poche perplessità circa la possibilità di attenuare il regime sanzionatorio specifico previsto per un crimine così grave e diffuso, rischiando di offendere la memoria della vittima e di compromettere la fiducia pubblica nel sistema giudiziario, che potrebbe essere percepito come indulgente verso il reato di femminicidio. Numerose e unanimi nel mondo giudiziario sono state le reazioni di allarme verso questa pronuncia della Suprema Corte, la quale legittimerebbe un pericoloso assunto secondo cui, se ogni volta che avviene un femminicidio occorre valutare quello che è lo stato emotivo di chi ha compiuto un delitto talmente efferato, allora significa che tutto può essere giustificato, compreso qualsiasi omicidio”.

Lo scrive in un post su fb l’Unione donne in Italia (Udi) in vista della sentenza di domani sul femminicidio di Lorena Quaranta, studentessa di medicina di 27 anni.

LO ‘STRESS DA COVID’

L’Udi riprende l’interrogazione parlamentare presentata dalle senatrici Valeria Valente e Cecilia D’Elia e dal senatore Filippo Sensi al ministro della Giustizia sul caso. La Cassazione ha infatti annullato l’ergastolo comminato al suo compagno, infermiere e convivente, scrivendo le seguenti motivazioni basate su un inatteso e contestatissimo principio- come tante reazioni di esperti e politici hanno manifestato- dello ‘stress da covid’: “Deve stimarsi- scrive la Suprema Corte- che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere efficacemente tentato di contrastare lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale”.

I FATTI

Lorena Quaranta- questi i fatti che l’Udi riepiloga- fu brutalmente assassinata dal suo fidanzato Antonio De Pace, il 21 marzo 2020 a Furci Siculo, nel messinese, nella loro casa. La Procura generale di Reggio Calabria ha quindi chiesto (dopo la Cassazione, ndr) 24 anni di carcere.

LE PAROLE DEL PADRE

“Non era né malato mentale, né c’era alcuno stress. La sera lui usciva: ci sono tutti i WhatsApp, andava a giocare con la Play. La pena è che deve uscire e rifarsi la vita? E la vita che ha tolto? La giustizia deve dare una risposta. Voi donne lottate, ma la giustizia si deve fare”, aveva dichiarato il papà di Lorena, intervistato da Maria Grazia Mazzola per TV7, speciale del Tg1. Il papà ha ripercorso la vicenda giudiziaria che ha portato la Cassazione, dopo 4 anni e mezzo dal femminicidio, a chiedere un nuovo processo per l’infermiere assassino, condannato in primo grado dalla Corte d’Assise d’Appello di Messina all’ergastolo, al fine di considerare tra le attenuanti ‘lo stress da covid’.

L’Udi nel post ricorda anche l’interrogazione parlamentare, presentata dalle senatrici Valeria Valente e Cecilia D’Elia e senatore Filippo Sensi al Ministro della Giustizia, in cui hanno ricordato la sentenza del 27 maggio 2021, nella causa J.L. contro Italia, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’art. 8 Cedu (sul diritto al rispetto della vita privata e familiare), a causa di una decisione della Corte d’appello di Firenze relativa ad un processo per stupro; nella sentenza in questione la Corte d’Appello aveva stigmatizzato la vittima dello stupro con giudizi deplorevoli, non lineari e comunque irrilevanti sulla sua vita privata; secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte d’Appello e lo Stato Italiano, si sono resi responsabili di vittimizzazione secondaria durante il procedimento, estrinsecando nel linguaggio e nelle parole adoperate nella sentenza, pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana e sono suscettibili di impedire l’effettiva protezione dei diritti delle vittime di violenza di genere pur in presenza di un quadro legislativo soddisfacente’.

DA PERIZIA PSICHIATRICA GIUDICATO SANO

Prosegue il post dell’Udi, riportando dettagli dell’interrogazione dei senatori: “Non è di certo la prima volta che si verificano pregiudizi di genere all’interno del sistema giudiziario; lo scorso 21 luglio 2024, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo inflitta ad Antonio De Pace per il femminicidio di Lorena Quaranta, una giovane di 27 anni, aspirante medico, brutalmente uccisa il 31 marzo 2020 dal suo fidanzato, reo confesso; la vicenda processuale si era conclusa in secondo grado con la conferma, da parte della Corte d’Assise d’Appello di Messina, della condanna all’ergastolo, ma la seconda sezione della Corte di Cassazione ha disposto un riesame limitato al diniego delle circostanze attenuanti generiche, e ha trasferito il fascicolo alla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria affinché esamini nuovamente la questione, senza i vizi riscontrati; nel motivare la decisione, la Corte di Cassazione ha rilevato che, i giudici di merito non avrebbero considerato in modo completo l’origine del disagio che avrebbe afflitto Antonio De Pace, riconducibile, secondo i giudici, all’insorgere dell’emergenza pandemica e alla difficoltà di gestirne le conseguenze, come fattori che potrebbero incidere sulla determinazione della responsabilità penale; in sostanza, la Cassazione ha chiesto di considerare gli effetti psicologici della pandemia da Covid 19 come possibile motivo per l’applicazione delle attenuanti generiche, il che potrebbe ridurre la condanna di De Pace fino a un terzo, permettendogli di evitare l’ergastolo; in sede di primo e secondo grado di giudizio il De Pace è stato sottoposto ad una perizia psichiatrica da parte della Corte ed è stato giudicato sano di mente e di robusta costituzione, nel corso delle indagini è emerso che al momento della commissione del reato, cioè all’inizio della pandemia da Covid 19, il De Pace conduceva una vita sociale attiva, uscendo la sera e divertendosi con gli amici, comportamento poco conciliabile con il supposto stress da Covid 19; a riprova di questo, si rileva che il De Pace ha ucciso la compagna il 31 marzo 2020, cioè esattamente 15 giorni dopo l’inizio del lockdown; 15 giorni sono di fatto un arco temporale davvero esiguo per potersi definire stressato dalla pandemia”.

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