Era un ragazzo ricco di entusiasmo, pieno di vita, alla continua ricerca di emozioni che lo hanno portato negli anni a “trasformarsi” più volte: broker, assicuratore, geometra, centauro e infine dj.
Oggi, grazie alla voce dell’amata compagna unita a quella delle tante persone che sostengono l’associazione Luca Coscioni, parla al Presidente della Repubblica, chiedendogli di intervenire per fare in modo che possa avere la libertà di scegliere quale strada far prendere alla propria esistenza. Proprio lui che del cambiamento non ha mai avuto paura, oggi è costretto a non poter decidere della propria vita, ingabbiato in un corpo che non gli permette più di esprimersi.
Due anni fa un incidente lo ha reso cieco e tetraplegico, adesso chiede al Capo dello Stato di sollecitare il Parlamento perchè sia approvata la legge sull’eutanasia. Il suo nome è Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, ma può essere anche Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, Elena Moroni, Giovanni Nuvoli e i nomi di tante altre persone che ogni anno, tramite varie associazioni, chiedono una “morte dolce”.
Richiesta tutt’altro che semplice da esaudire, considerando che nel nostro Paese non esiste ancora una normativa e soprattutto considerando la tendenza del Parlamento italiano a procrastinare le legiferazione su temi scottanti, giustificando i ritardi con la più banale delle scuse: “i tempi non sono ancora maturi”.
Non lo sono stati per decenni sulle unioni civili, non lo sono ancora sulla legalizzazione della cannabis per scopo terapeutico, lo sono ancor meno per l’eutanasia ed in generale per tutte le questioni che investono il campo della bioetica. E come accade sempre quando esiste nell’ordinamento un buco normativo, il deficit di tutela comporta come conseguenza il caos giudiziario e la clandestinità (sono centinaia gli italiani che ogni anno si recano all’Estero perché gli venga praticata l’eutanasia).
Finora i Tribunali con le loro sentenze hanno creato precedenti, ma anche confusione in chi, in assenza di una legge, non sa come applicarle. Emblematico il caso di Eluana Englaro, una bagarre giudiziaria che ha coinvolto le Corti, le istituzioni regionali e nazionali e le cliniche di assistenza.
L’interruzione delle cure per la Englaro, rimasta in stato vegetativo per 17 anni, è passato per innumerevoli sentenze di rigetto delle richieste dei familiari, finchè la Cassazione, per ben due volte, non si è pronunciata a favore della sospensione della NIA (ndr. nutrizione e idratazione artificiale), tracciando le linee guida sul testamento biologico ed il rifiuto delle cure, sulla base delle quali la Corte d’Appello di Milano autorizzava l’interruzione dei trattamenti.
Da allora, il dibattito sull’eutanasia in Italia è diventato più acceso; a fronte delle pronunce della Cassazione che chiedeva pubblicamente al Legislatore di colmare il vuoto normativo sul “fine vita”, il Governo di allora tentò in ogni modo di fermare l’esecuzione della sentenza sul caso Englaro, ricorrendo perfino alla decretazione d’urgenza, che tuttavia, venne bloccata dal Presidente Giorgio Napolitano.
Difatti, compito del Parlamento non è ricorrere alla straordinarietà della misura del decreto legge. La questione è più complessa e profonda e non può essere affrontata con provvedimenti autoritativi di durata limitata che con ogni probabilità, scaduto il termine dei 60 giorni, non verrebbero mai rinnovati. Si tratta quasi di una certezza, considerando che ancora oggi fermi alla Camera e al Senato vi sono ben sei disegni di legge sull’eutanasia.
Lo scorso 3 marzo, per la prima volta nella storia italiana, in Parlamento si è discusso ufficialmente dell’emanazione di “Norme in materia di eutanasia”. Il dibattito, tuttavia, dopo quel singolo appuntamento si è interrotto. Si attende che le commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali redigano un Testo Unico che convogli le sei proposte di legge. Cinque di queste sono state presentate su iniziativa parlamentare (a prima firma Bechis (Misto – Alternativa libera), Di Salvo (PD), Marzano (Misto), Mucci (Misto) e Nicchi (SI-SEL), ed una su iniziativa popolare, a seguito delle 67.000 firme raccolte dall’associazione Luca Coscioni, ddl che è fermo in Parlamento dal 13 settembre 2013.
La legge sul “fine vita” presentata dai cittadini prevede che l’eutanasia possa essere legalizzata per quei pazienti maggiorenni che si trovino in stato di sofferenza e malattia irreversibile, ma che abbiano conservata inalterata la capacità di intendere e volere. La richiesta di eutanasia deve essere attuale ed accertata, ed il trattamento eutanasico deve essere eseguito nel rispetto della dignità del paziente, senza provocare sofferenza fisica.
La stesura del Testo Unico dovrà superare le divergenze ideologiche sulla natura della NIA. Infatti la sua sospensione può essere considerata conforme alla pratica eutanasica soltanto se la si considera come trattamento sanitario (in quanto tale rifiutabile) e non come un atto di civiltà e di umanità.
Ciò che è certo è che in questo limbo l’unica possibilità di fare chiarezza è l’intervento del Legislatore. Tracciare la linea di confine tra cure ed accanimento terapeutico è eticamente arduo e solo la convenzione giuridica potrà mettere fine alle ambiguità.
Nel rispetto dei principio di autodeterminazione, definire il concetto di vita deve far decidere se essa sia un mero stato biologico, oppure se in esso vi sia qualcos’altro. In quest’ultima ipotesi, il concetto di vita non può essere scisso da quelli di qualità e dignità che ne diventano elementi costitutivi.