di Stefano Rizzo autore di “Greco a catinelle”
La parola palinsesto viene dal greco antico παλίμψηστον (“palimpseston”) e più precisamente deriva da πάλιν ( palin) che significa “di nuovo” e ψάω (psao) che significa “grattare”, “cancellare” e si riferisce a un manoscritto che è stato raschiato o cancellato per essere riutilizzato. All’epoca di Plutarco, il primo che ne parla esplicitamente, questa azione si applicava soprattutto al papiro e alla pergamena (“pelle di Pergamo”, in quanto prodotta con la pelle di ovino molto diffusa in questa città). Gli antichi greci e romani usavano, per scrivere sulla pergamena, degli steli di piante e inchiostri vegetali. Poiché il papiro e soprattutto la pergamena erano molto preziosi, vi era l’abitudine di utilizzarla più volte, appunto raschiandole. Oggi, grazie a tecnologie avanzate, è stato possibile recuperare e leggere i testi primari di alcune pergamene, che ci hanno fornito preziose testimonianze storiche.
Ma che collegamento c’è tra il palinsesto di Plutarco e il termine moderno? Quest’ultimo si riferisce ad una programmazione organizzata di trasmissioni televisive o radiofoniche. Queste vengono costantemente spostate, riordinate, cancellate. Così come nel “palinsesto antico” veniva scritto un nuovo testo su uno già esistente, anche nei palinsesti televisivi e radiofonici i programmi si sovrappongono e si aggiornano continuamente, con griglie che vengono modificate e riscritte per adattarsi alle esigenze del pubblico e alle novità dell’emittente.
