“Abbiamo 30 bovini di razza Bruna e Frisona a Malga Mosche Est ad Asiago e la visita della scorsa notte da parte del lupo ha rappresentato per noi una grande ferita, economica per l’azienda, ma anche morale, in quanto la morte di un animale, così barbara, ci fa comprendere quanto siamo vulnerabili e, al tempo stesso, incapaci di difenderci concretamente”. Questo, in estrema sintesi, il racconto di Federica Rigoni, a poche ore dalla predazione avvenuta nella malga dell’Altopiano, che gestisce con la famiglia.

Si tratta del primo episodio di predazione nel territorio di Malga Mosche Est e questo aumenta la preoccupazione dei malgari che insistono in quell’area che, pur essendo pianeggiante, non consente una semplice sorveglianza. Oltretutto, è evidente che un vasto territorio non può essere tenuto sotto controllo, di notte in particolare, da poche persone, che di giorno sono impegnate in attività pesanti.

“Pensavamo di poter dormire sonni tranquilli – aggiunge Federica Rigoni – ma abbiamo capito che ormai nessuna zona dell’Altopiano è al sicuro dagli attacchi del lupo. Questo ci turba, evidentemente, e valuteremo, anche sulla base di come andranno le cose nei prossimi giorni, se rimanere in quota sino a fine settembre o demonticare anticipatamente, in quanto ci è stato riferito da imprenditori che hanno subito altre predazioni che, spesso, il lupo ritorna. Non vogliamo esporre i nostri animali a pericoli evitabili”.

E pensare che portare gli animali in montagna significa voler produrre un latte di qualità, da mettere a disposizione per la produzione di formaggi d’eccellenza. Questa filosofia, consolidata ed indiscutibile, dovrebbe essere sostenuta dalle istituzioni, ai diversi livelli, anche perché risponde ad una logica ben precisa legata al benessere animale, ma sembra non sia proprio così.

“Non avremmo mai pensato di valutare l’ipotesi di tornare in pianura – conclude Federica Rigoni – se non fosse che qui ci sentiamo indifesi e siamo perfettamente consapevoli e convinti che non esiste sorveglianza da parte di chi dovrebbe contribuire efficacemente a rendere il territorio sicuro. Coldiretti continua a denunciare le predazioni, quindi sta fornendo alla nostra categoria un sostegno concreto, ma ci aspettiamo che a rispondere concretamente siano le istituzioni preposte, anche perché sappiamo di giocare un ruolo importante nella salvaguardia e nella cura del territorio montano. Perdere le malghe, oltre a comportare un danno economico per le imprese e per le amministrazioni, infatti, significa anche buttare via un patrimonio culturale, storico ed in termini di biodiversità di grande valore”.

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