Nel 2015 oltre 4500 donne si sono rivolte ai centri antiviolenza del Veneto, in pratica una ogni 550 donne residenti. Di queste la metà è stata presa in carico dai 20 centri violenza già attivi. Il fenomeno della violenza contro le donne in Veneto emerge in controluce dai dati 2015 sull’attività della rete dei centri e delle strutture antiviolenza attivati dalle istituzioni e dal volontariato nelle sette province venete, presentati alla prima riunione del nuovo tavolo regionale antiviolenza, coordinato dall’assessore regionale al sociale: nel 2015 i servizi di ascolto hanno registrato 4585 contatti, 2637 sono state le donne accolte dai centri antiviolenza, vale a dire in media una donna ogni mille residenti, di cui 1907 (7 su 10) prese in carico per la prima volta.
Più ristretto il numero delle donne ospiti di 21 case rifugio e case di secondo livello presenti in Veneto: nel 2015 sono state un centinaio le donne inserite in alloggi protetti insieme a 110 figli minori. Solo il 3,6 per cento delle donne che si rivolgono alla rete dei servizi antiviolenza approda ad una casa rifugio o di secondo livello.
In totale sono 41 le strutture venete che assistono e accolgono donne oggetto di prevaricazioni e violenze, praticamente una struttura ogni 126 mila donne residenti. Il territorio più servito è il Veneziano , con un centro antiviolenza ogni 89 mila donne, il meno servito è il Veronese, con un centro ogni 236 mila donne. In ogni provincia è comunque presente una struttura di ascolto e prima accoglienza, grazie alla rete creata da Regione, Comuni (47), Ulss (13) e associazioni di volontariato. Complessivamente, tra fondi statali (prevalenti) e fondi regionali, nel 2015 in Veneto sono stati spesi 2 milioni di euro per contrastare la violenza contro le donne: oltre un milione per i centri antiviolenza, 535 mila euro per le case rifugio, 404 mila euro per le case di secondo
livello (strutture di reinserimento). Il costo più consistente è quello sostenuto per il personale, che impegna circa il 40 per cento del budget. I finanziamenti pubblici coprono l’80 per cento del costo complessivo.
Oltre ai criteri per il bando 2016, il nuovo tavolo regionale di coordinamento, rinnovato ad inizio anno, ha avviato il percorso di verifica e rivisitazione della legge 5 del 2013 al fine di renderla più flessibile e rispondente ai nuovi bisogni emersi dal confronto tra operatori, istituzioni, medici, volontari e forze dell’ordine, rappresentati al tavolo regionale.