Il covid spinge fuori dal Veneto molte aziende che hanno sedi produttive nel territorio e, per molte di quelle che sopravvivranno alla crisi, si preannuncia comunque un ridimensionamento del perimetro occupazionale. Altre invece sono destinate a chiudere i battenti per sempre, sopraffatte da una contingenza economica nefasta.
I numeri sono implacabili e si riflettono sui dipendenti. Sono infatti 11.500 i posti di lavoro da dipendente persi in Veneto nel 2020, le assunzioni sono calate del 24%, ad avere la peggio sono ancora donne e giovani e da fine marzo, quando termineranno il blocco dei licenziamenti e l’estensione della cassa integrazione, i numeri potrebbero peggiorare causando pesanti ricadute anche sui contratti a tempo indeterminato.
Un anno nefasto, che oltre ai tanti morti per covid ha tolto la speranza di un futuro sereno e ha spazzato con un colpo di mano le proroghe o le conferme di molti contratti a tempo determinato.
È quanto emerge da un primo bilancio, tracciato dall’Osservatorio di Veneto Lavoro, sull’andamento del mercato del lavoro veneto nell’anno appena concluso.
“A determinare il risultato negativo è soprattutto la dinamica del lavoro a termine, che ha risentito maggiormente degli effetti delle varie fasi di lockdown e delle difficoltà legate al mancato o parziale avvio delle attività stagionali. Le misure di tutela dell’occupazione, quali il blocco dei licenziamenti e l’estensione della cassa integrazione, hanno invece consentito di limitare le perdite in termini di occupazione stabile, ma non permettono di determinare con esattezza l’impatto dell’attuale situazione sanitaria sull’occupazione e generano incertezza su quanto potrà accadere alla scadenza di tali misure”, spiegano dall’Osservatorio.
“A pesare sul blocco delle assunzioni è proprio l’incertezza sulla stessa vita delle nostre imprese – ha affermato Elena Donazzan, assessore regionale al Lavoro e alle Pari Opportunità – Oltre ai dati dell’Osservatorio dobbiamo evidenziare l’aumento delle crisi aziendali che giungono al tavolo dell’Unità di Crisi regionale da me coordinata; poche le realtà che si avviano alla ripresa, quasi tutte invece al ridimensionamento del perimetro occupazionale o, peggio, alla chiusura di intere unità produttive sul nostro territorio”.
E se nel 2020 il saldo occupazionale si era chiuso con 26.500 posti di lavoro guadagnati rispetto all’anno precedente, tra mancate assunzioni e rapporti di lavoro cessati, si può dunque stimare che a causa della pandemia siano venuti meno circa 38.000 posti di lavoro.
“Come era stato previsto, purtroppo, questa crisi sembra aver pesato particolarmente sulle donne e sui giovani, colpendo innanzitutto i settori più esposti alle restrizioni adottate per il contenimento del virus – ha spiegato Elena Donazzan – Le più penalizzate dalla crisi, infatti, risultano proprio le donne, con un calo delle assunzioni del 27%, e i giovani, -28%”.
Turismo al collasso
Il turismo si delinea come il settore più colpito, con un saldo annuale negativo per 14.500 posti di lavoro e un calo delle assunzioni pari al 45%. Segno meno anche per commercio (-1.350), trasporti (-500), attività finanziarie (-400), editoria e cultura (-250), mentre nel manifatturiero a soffrire maggiormente sono i comparti del Made in Italy, in particolare l’occhialeria e il sistema moda, che hanno visto ridursi le assunzioni rispettivamente del 62% e di oltre il 30%. In controtendenza l’edilizia che, spinta anche dal super bonus e dalle altre agevolazioni messe in campo per il rilancio del settore, chiude con un bilancio positivo analogo a quello del 2019 (+3.100). In agricoltura guadagnate 1.700 posizioni lavorative, più di quanto accaduto l’anno precedente.
“Il primo bilancio del 2020 registra un calo della disoccupazione e dei licenziamenti. Ma va sottolineato che sui dati incidono diversi fattori, tra cui il divieto di licenziamento – ha concluso l’assessore al Lavoro – La cosa più grave nel quadro generale è l’aumento degli scoraggiati ed un minore dinamismo del mercato del lavoro”.
La crisi nel mondo della moda: “Bisogna aprire lo stato di emergenza”
Anche nel settore della moda la situazione è pesantissima: “Una crisi senza precedenti per il sistema moda del Veneto: neppure la crisi del 2009, né il contraccolpo delle banche venete, avevano danneggiato così tanto quello che è un vero e proprio patrimonio del tessuto produttivo della nostra regione che riunisce i settori del tessile-abbigliamento, della calzatura e dell’industria conciaria. È necessario che a livello governativo si affronti subito in modo specifico questa emergenza”. Sono le parole di Elena Donazzan.
“La moda è, dopo la meccanica, la seconda industria italiana – ha proseguito l’assessore – Soltanto in Veneto sono 9.500 le unità produttive pari al 17,6% del totale manifatturiero regionale e 7.626 le unità della distribuzione. Un universo che, secondo gli ultimi dati disponibili, genera un fatturato di 18 miliardi di euro pari al 18% del fatturato nazionale, assorbendo quasi 100 mila addetti ed esportando per un valore di oltre 9 miliardi di euro”.
“Si profila uno scenario preoccupante, che solo in parte è attutito dagli impegni di coprire con ammortizzatori sociali i lavoratori dipendenti – ha concluso l’assessore Donazzan – Va ricordato, poi, che i lavoratori dell’artigianato questa copertura l’hanno avuta solo in parte. Che ne sarà dei nostri imprenditori, di quella capacità e di quel coraggio aziendale che ha fatto grande il nostro Veneto?”
di Redazione Altovicentinonline