“La prospettiva tracciata da Gimbe per la tenuta del sistema sanitario regionale è fortemente preoccupante. E se da un lato lo scenario attuale vede il Veneto, per quanto riguarda gli infermieri, ancora a livelli quantitativi accettabili seppur con un basso livello di spesa e investimenti per il personale, tutto il resto non può farci dormire sonni tranquilli”.
Lo dice la consigliera regionale del Pd, Anna Maria Bigon.
“Il numero di medici sotto la media nazionale (1,84 contro i 2,11 ogni mille abitanti) e le previsioni che parlano della possibile chiusura di tre ospedali spoke per oltre mille posti letto se non ci sarà una inversione di tendenza, devono spingere la Regione ad intervenire fin da subito. Già adesso assistiamo a chiusure di reparti e a ridimensionamenti dei servizi, in un processo che sta depotenziando il pubblico. Basti pensare che stanno nascendo Pronto Soccorso privati per codici bianchi, così come la riabilitazione è completamente in gestione a questo fronte: è un moltiplicarsi di servizi e attività che il pubblico sta perdendo. Occorre investire di più ma anche riorganizzare meglio il sistema pubblico. E in tempi rapidi”.
“D’altra parte gli stessi dati della Regione confermano lo scenario. Infatti, tra il 2019 e il 2022, sono esplose le dimissioni volontarie del personale sanitario, con 1.582 medici e 2.613 infermieri che hanno scelto di abbandonare la sanità pubblica. Per quanto riguarda il costo del personale, che incide per il 26% di quello totale, abbiamo assistito solo ad un lieve aumento negli ultimi anni. Passando da un valore complessivo di 2.790 mln di euro nel 2019 ai 3.176 mln di euro del 2023. Nonostante la pandemia e la carenza di personale che si fa sempre più difficile da gestire – conclude Bigon – dalla Regione sono arrivati solo dei timidi passi avanti, insufficienti a garantire retribuzioni adeguate e condizioni di lavoro accettabili”.
Cosa ha detto il Gimbe
“Se avessi potuto fare una domanda alla premier Meloni durante la sua conferenza stampa di ieri, sicuramente le avrei chiesto se ci sono le condizioni per poter riavviare un progressivo rilanciamento della sanità pubblica e delle relative riforme in grado di restituire al Servizio Sanitario Nazionale la sua prerogativa che è quella di tutelare il diritto alla salute. Il problema è che la Premier parla di più soldi per la sanità ma manca di una visione per il futuro”. Dice Nino Cartabellotta, Presidente GIMBE, a proposito della crisi complessiva della sanità nazionale. E in merito all’audizione della sua fondazione svoltasi alla Commissione Affari della Camera ha commentato: “L’obiettivo di questa audizione alla Camera era documentare il fatto che i continui tagli alla sanità di questi anni sono perlopiù stati assorbiti dal personale sanitario, in particolare quello dipendente. Bisogna far capire ai cittadini- spiega Cartabellotta- che se la sanità nella loro regione non funziona è perché c’è un problema strutturale di carenza del personale, che è sempre più demotivato. Dal 2012 a oggi sono stati progressivamente tagliati 25 miliardi di euro a loro destinati, se si smette di rendere attrattiva la professione i nostri medici se ne andranno sempre più all’estero e i nuovi medici smetteranno di iscriversi: alla fine non avremo più chi ci cura”.
Cartabellotta termina il proprio intervento analizzando le motivazioni di un SSN sempre più scadente: “Quello che mi preoccupa di più è il comportamento dei nuovi medici. Il servizio sanitario è sempre più orientato sulla base delle liste d’attesa, e quindi sulla mera erogazione delle prestazioni. I medici, soprattutto quelli più giovani, si stanno abituando a questo modo di fare. Smettono di pensare alla cura del paziente e alla tutela dei suoi diritti e si concentrano sull’erogazione delle prestazioni, che è quello che predilige il sistema privato. Questo è ciò che vuole il modello orientato al libero mercato, ma un medico deve pensare alla cura dei propri pazienti non a erogare servizi. Oggi infatti sempre meno medici sono disposti a intraprendere delle specialità come quella del Pronto Soccorso, perché non sono attrattive per loro che sono orientati alla carriera nel privato. Bisogna ridare dignità a questi percorsi perché sono quelli di cui ha bisogno il servizio pubblico”
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