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Chiuppano. Omera aumenta l’export di macchine utensili. “Assumiamo giovani tecnici della zona”.

di Federico Piazza

Il ricambio generazionale nelle aziende passa anche attraverso il ruolo dei lavoratori senior che dopo la pensione possono fare da coach ai neo assunti. Su questo tema è molto sensibile Massimo Carboniero, amministratore delegato della Omera di Chiuppano e past president di Ucimu, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili: «Queste figure esperte che possono affiancare come “maestri del lavoro” i neo assunti sono preziosissime per molte imprese». A tal proposito Carboniero sta portando avanti in Confindustria una proposta per incentivare fiscalmente la permanenza in azienda dei dipendenti in pensione disponibili ad assistere per un certo periodo l’inserimento formativo dei giovani.

L’imprenditore in partenza per la fiera di settore EuroBlech 2024 di Hannover ha parlato con AltoVicentinOnline di lavoro, di mercati e di Industria 5.0.

Anche in Omera avete il problema comune a tante aziende di trovare e formare nuovo personale?
«Siamo messi abbastanza bene perché Omera per fortuna è una realtà di riferimento per la nostra zona. Questo mese per esempio stiamo assumendo quattro nuove persone, di cui tre in sostituzione di fuoriuscite per pensionamento. Cerchiamo giovani locali che abbiano fatto scuole tecniche ma anche diplomati ITS e laureati in ingegneria. Ormai in fabbrica abbiamo solo periti, oggi anche gli operai sono dei tecnici che devono avere competenze meccaniche ed elettroniche, saper leggere un disegno e usare il computer».

Come avvicendare il personale esperto che va in pensione?
«Sono molto preziose alcune figure che possono rimanere in azienda per un certo periodo per fare formazione ai neo assunti. Ma per incentivarle economicamente bisognerebbe tassare i redditi di queste collaborazioni con un’aliquota di massimo il 10%, come se fosse una cedolare secca. Così da evitare il cumulo con la pensione e la relativa applicazione di un’aliquota fiscale complessiva più alta».

Il lavoro non manca in Omera nonostante il periodo non facile dell’industria manifatturiera?
«Noi produciamo macchine per la lavorazione della lamiera: presse idrauliche e meccaniche, rifilatrici bordatrici, linee automatiche. I nostri clienti spaziano da settori attualmente in crisi, quali automotive ed elettrodomestici, a settori vivaci dove molte imprese stanno investendo in nuovi impianti, come pompe di calore, impianti di riscaldamento, ventilazione, casalinghi, segnaletica stradale. Quindi grazie a questa diversificazione gli ordini non ci mancano. Come gruppo, dopo l’acquisizione dell’azienda bolognese Gigant, chiuderemo il 2024 con un fatturato intorno al 30 milioni di euro e contiamo di fare anche meglio nel 2025».

I dati Ucimu mostrano nel primo semestre 2024 una buona tenuta dell’export di macchine utensili ma un forte calo del mercato italiano. Vale anche per Omera?
«Per noi oggi l’export rappresenta l’82% del giro d’affari. Una crescita notevole, considerato che fino al 2023 era intorno al 50%. Vanno bene la Francia, l’Est Europa, alcuni Paesi del Mediterraneo come l’Algeria. E soprattutto gli Stati Uniti, che sono il più grande importatore mondiale di macchine utensili e la prima destinazione di quelle italiane».

Non sentite la concorrenza cinese?
«I cinesi si collocano ancora nella fascia di mercato bassa. In Europa arrivano perché non ci sono dazi sulle importazioni di macchinari industriali, noi ovviamente rispondiamo con la qualità. Negli Stati Uniti hanno aumentato i dazi sull’import cinese, che quindi è meno presente, e spero che gli americani continuino con questa politica».

Perché il mercato italiano delle macchine utensili è invece in sofferenza?
«Innanzitutto perché è molto collegato a quello tedesco, che a sua volta è parecchio rallentato. La crisi dell’automotive pesa, soprattutto in Veneto in cui molte aziende del comparto metalmeccanico sono fornitrici di componenti per la filiera auto tedesca. Inoltre, per chi invece vorrebbe investire in beni strumentali perché opera in mercati con buone prospettive, la nuova misura Industria 5.0 per la transizione digitale e green si sta rivelando un fallimento a causa della complessità burocratica. Il valore delle domande presentate sinora raggiunge a malapena i 100 milioni di euro rispetto ai 6,3 miliardi messi a disposizione per i crediti d’imposta».

Qual è la complicazione principale di Industria 5.0?
«Per accedere ai benefici fiscali previsti servono perizie di asseverazione sia preventiva che consuntiva sugli impatti in termini di risparmio energetico dell’intero processo aziendale in cui vanno a operare i macchinari in oggetto. Le imprese che pensavano di fare qualche investimento usufruendo di Industria 5.0 si sono fermate davanti a questa montagna di burocrazia, soprattutto le piccole abituate alla maggiore semplicità di Industria 4.0. Che per inciso è utilizzabile più a lungo, fino a metà 2026».

Si parla di una revisione di Industria 5.0. Si è ancora in tempo?
«Si può ancora intervenire per semplificare, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy si è detto disponibile. Ma i tempi sono stretti, perché il termine per la messa in funzione degli impianti è il 31 dicembre 2025. Personalmente io, più che su misure speciali a termine, sono sempre stato favorevole a provvedimenti strutturali, tipo il 20% di credito d’imposta per sempre, che danno certezza nel lungo termine per chi fa piani d’investimento».