E si torna sempre a parlare di voi cari, si fa’ per dire, leoni da tastiera. Perché alla fine è questo che cercate: l’attenzione.
Ma non vi basta mai, ne siete ingordi, brancolate nel buio sociale illuminati dalla luce di un monitor, mentre violentate la tastiera sputando la vostra sentenza.
Ma a suo tempo non ve l’hanno insegnato che ad offendere e giudicare gratuitamente, seccando ogni germe di contraddittorio, è mettere in atto una forma di violenza? Che si ripercuote sulle vite di persone fatte in carne ed ossa?
Certo che ve l’hanno insegnato, ma a voi che vi frega? Il rispetto e l’educazione lo lasciate al popolo, voi siete i giudici, seduti su di uno scranno traballante quanto la vostra autostima.
Giudicate e sentenziate su tutto e su tutti, facendo del male e ne siete contenti. Vi quietate pochi secondi per leggere chi e quanti non concordano con voi e poi calate nuovamente le vostre mani sui tasti, lanciando altri schiaffi virtuali, dando l’ennesima prova della vostra impotenza, mettendo a dura prova ogni mente ragionevole che rischia di essere trascinata nella vostra melma.
Sfoderando parole che generano odio, vi attaccate alle vicende altrui per avere un barlume di onnipotenza, al riparo di un monitor, dando prova di essere più delle sanguisughe che dei leoni da tastiera.
A volere essere anche buoni nei vostri confronti, viene da pensare che nella vita reale abbiate qualche difficoltà, tritati nello stress o magari piegati da un ménage che vi va stretto.
Vi immagino nel vostro quotidiano ad ingoiare rospi grossi, magari anche vessati ingiustamente ma questo lo sapete solo voi, perché sia mai che abbiate il coraggio di dire “Io ho un problema”.
Eh no, i problemi ce li hanno solo gli altri, voi siete gli unti del web, deliranti ma unti.
Però voi siete il problema delle altre persone, che non vi suscitano empatia e quindi andate giù di brutto, le mettete alla gogna, marchiandole col vostro giudizio che, Dio ce ne scampi, è insindacabile. Poi che la realtà dei fatti sia una cosa a voi sconosciuta non è un vostro problema.
Male perché il web, pur dandoci impressione di sguazzare in un grande e vasto mondo, vi porta comunque a beccolare come galline impazzite a casa.
Presumibile che la maggiore parte dei vostri attacchi siano diretti a chi vi abita nell’appartamento a fianco del vostro, oppure al figlio di una vostra conoscente, alla moglie del fioraio, ai ragazzini che imbrattano i muri, al tizio che fino a cinque minuti prima definivate amico vostro e dopo lo sputtanate come un ubriacone, o a chi vi pare a voi insomma.
Non avete il coraggio di uscire da casa vostra per dire le cose in faccia, senza sfangare nei termini volgari coi quali avete avvolto e soffocato il vostro intelletto.
Non avete un minimo briciolo di pudore, o chiamatelo buon gusto, non riuscite a stare proprio buoni, la dovete per forza aprire questa vostra bocca, per fare uscire il vostro ruggito, credibile quanto il belare della pecora.
Ogni tanto vi riposate, non troppo però, sia mai che la vostra dipendenza si esaurisca per miracolo.
Vi immagino la sera mentre calate la maschera da leone che indossate, sul tavolo a fianco del pc, la scostate ancora un po’ più in là, per fare spazio al piatto che vi servirà la cena, quello in maiolica creato da Francesco Urbini nel 1536, intitolato ‘Testa de Cazi’, con la scritta che si legge da destra a sinistra ‘Ogni homo me guarda come fosse una testa de cazi’.
Quell’homo siete forse voi?
Paola Viero