“Il ‘paradiso’ comunista era un inferno. Quando c’erano i tedeschi, dal 1943 al 1945, almeno a Natale nel piatto trovavo un’arancia oppure un pezzettino di dolce, ma quando arrivò Tito cominciò la fame. Per sei o sette anni non ho mai mangiato un frutto. La prima cosa che ho apprezzato appena arrivato in Italia, ancora bambino, è stato invece il pane. Quanto era buono il bianco bianco…”. È ancora molto amareggiato il signor Angelo Caggiano, esule istriano, nato a Rovigno (oggi Croazia) nel 1938. È la “più bella cittadina di tutto l’Adriatico- ha raccontato orgoglioso alla Dire oggi in occasione della tappa romana, presso la stazione Ostiense, del Treno del Ricordo dedicato alla memoria delle vittime delle foibe- oggi ha 4mila visitatori all’anno perché è davvero incantevole. Quando avevo 4 anni mi tuffavo in mare dalla finestra di casa mia, ho imparato prima a nuotare e poi a camminare. Poi tutto è finito”.
Angelo, oggi 86enne, ormai da tantissimi anni vive a Campo Ascolano, una frazione del comune di Pomezia, ma non ha mai dimenticato la sua Rovigno. “Quando in occasione della festa di Sant’Eufemia torno nel mio paese- ha detto- ormai trovo 20mila cittadini tutti slavi, il popolo istriano è sparito, ormai non esiste più, siamo sparsi in tutto il mondo. E la dispersione di un popolo è il diniego del diritto all’esistenza, per questo secondo me si tratta di un genocidio. Nel mio paese oggi vive un popolo di stranieri che parla un’altra lingua, ci hanno portato via tutto e ci trattano anche male. Una volta, mentre ero a passeggio con un mio amico a Rovigno, parlando in istriano, ci si sono avvicinati due giovanotti con la bici che ci hanno detto ‘sporchi italiani’ e ci hanno sputato. C’è ancora odio nei nostri confronti. D’altronde basta vedere la lotta che si fanno tra di loro serbi e croati, figuriamoci con gli italiani…”.
Il signor Caggiano racconta la sua vita in due tappe, entrambe “segnate da difficoltà”. La prima risale agli anni tra il 1945 e il 1951, durante i quali ha vissuto nel suo paese sotto la dittatura di Tito. Quindi la seconda, a partire dal 1952, quando è arrivato da esule in Italia. “Pensavamo finalmente di stare tranquilli, ma non è stato così- ha raccontato ancora alla Dire- una parte della politica è stata infatti contro di noi, perché le questioni erano due: o dovevano ammettere che il paradiso comunista non era un paradiso, e non lo avrebbero mai detto, oppure, affermare che il popolo istriano era fatto di delinquenti e ladri che erano venuti a rubare addirittura il lavoro. Eravamo quelli scappati dal ‘paradiso’ comunista. Il sindaco di un paese una volta ci disse ‘non buttatevi per disperazione nel fiume, perché noi non spendiamo i soldi per recuperare i vostri corpi, andate ad ammazzarvi da un’altra parte’. Eppure, su circa 350mila profughi non c’è mai stato un caso di cronaca nera che ci ha riguardato, non c’è mai stato nessuno tra di di noi che abbia rubato oppure ucciso. Non è mai accudito”, ha concluso Angelo.